Venerdì 19 Aprile 2024

Manovra da 23 miliardi: il Cdm approva il documento ma la lega resiste sulle pensioni

Approvata dal cdm all’unanimità, ora sarà inviata a Bruxelles. Malumori su previdenza, tasse e reddito

Migration

di Antonella Coppari

A sera tutti si mostrano equamente insoddisfatti. Tutti, però, in Consiglio dei ministri votano il documento programmatico di bilancio di Draghi, che sarà inviato a Bruxelles nelle prossime ore. Per tutto il giorno la Lega insiste per addolcire quello che, malgrado, la smentita di Giorgetti e Salvini, appare un ritorno se non alla Fornero a un "regime ordinario" che molto gli somiglia. Il Carroccio vorrebbe passare a quota 102 (64 anni di età, 38 di contribuiti) nel 2024. Ma, da quel punto di vista, l’Europa è inflessibile, quota 100 è nel mirino della Commissione Ue fin dall’inizio: si tratta di prendere o lasciare.

Il premier concede solo un rinvio della sentenza. Nero su bianco ancora non è stato messo niente, in teoria di qui al varo della legge di bilancio c’è ancor il tempo per rivedere e alleggerire ulteriormente. Ma sono particolari: l’eventualità di un esplosivo voto dei ministri leghisti contro la manovra (che sarà di 23 miliardi) appare, in pratica, fuori discussione.

Di fatto, a via Bellerio stanno trattando la resa: sul tavolo c’è la soluzione proposta dal ministro dell’Economia Franco di un’uscita in due passaggi – quota 102 nel 2022, quota 104 nel 2023 – su cui gli uomini del Capitano hanno messo a verbale la loro "riserva politica".

Ora, se tutti piangono miseria, solo il Carroccio lo fa a ragion veduta. Qualche malumore si coglie anche tra le truppe pentastellate. Poco giustificato: il reddito di cittadinanza resta, senza tagli, con una dote di 8,8 miliardi. Conte lo annuncia giulivo, ma – ad essere onesti – non è una vittoria del Movimento quanto della realtà. Il reddito nei mesi scorsi è stato essenziale per fronteggiare gli effetti sociali della crisi che sarebbero stati altrimenti disastrosi. Privarsi di un simile ammortizzatore ora sarebbe impossibile, e del resto l’intero capitolo è centrale nel documento.

In compenso il governo promette di rimaneggiare drasticamente il funzionamento della misura: maggiori filtri per evitare accessi immeritati, sanzioni pesanti dopo il secondo rifiuto di una "offerta congrua" di lavoro, eliminazione dei navigator.

La voce più importante nella prima manovra firmata da Mario Draghi – che a Palazzo Chigi annunciano "molto ampia e incisiva" che guardi all’orizzonte dei prossimi tre anni nell’intreccio con il Piano nazionale di ripresa e resilienza – è però la riforma fiscale.

Qui la discussione si fa più lunga e accalorata. In questi casi, il premier interviene a volte senza neppure bisogno di parlare. Per dire: ieri per frenare l’eloquio torrentizio di un esponente del suo governo pare si sia limitato ad alzare un dito. L’unico stanziamento che in cabina di regia il ministro Franco, per il resto molto abbottonato fornisce: ci sono 8 miliardi per l’intervento sul fisco di cui uno già finanziato. Ma proprio su questo punto, i centristi danno battaglia. Va giù netto Luigi Marattin, responsabile economico di Italia viva: "Ci sono 23 miliardi disponibili, destinarne un terzo soltanto al taglio delle tasse che, a parole, tutti vogliono mi sembra poco. Dovremmo stanziare 15 miliardi per essere incisivi. Dieci, in ogni caso, sarebbero il minimo sindacale ora che possiamo spendere e non solo tagliare".

Forza Italia, con i ministri Brunetta e Gelmini, rilancia la necessità di offrire più risorse per il taglio del cuneo fiscale. Draghi e il titolare dell’Economia, però, non cedono. Ma a cosa serviranno questi 8 miliardi non è chiaro: si capirà quando si leggeranno le cifre della manovra. Di sicuro, c’è che sugar e plastic tax verranno rinviate al 2023 malgrado i renziani ne avessero chiesto l’abolizione. "Se tutti i partiti sono d’accordo – la replica di Franco – non ho problemi a farlo". Il documento su cui si dovrà esprimere l’Europa si limita ad illustrare gli stanziamenti: il vero braccio di ferro politico verrà ingaggiato di qui al varo della legge di bilancio nel merito di questi investimenti. Ma la rotta è stata fissata: è evidente che Draghi ha deciso di puntare sulla riforma fiscale, sia pure senza strafare come avrebbero preferito i pasdaran centristi. Ha deciso di rendere nevralgico anche l’intervento sugli ammortizzatori sociali, tanto che una cifra cospicua – intorno ai 4 miliardi – dovrebbe andare a finanziare proprio la riforma che sta preparando Orlando. Segno evidente che avverte in pieno le tensioni sociali latenti e le considera molto più minacciose di quelle politiche. Che finiscono sempre per essere, come ha dimostrato la giornata di ieri, domate.