Mercoledì 24 Aprile 2024

Sfida alla Storia Il vantaggio di Giorgia "Non resto per forza Romperò gli schemi"

La premier ha confessato a Bruno Vespa qual è la sua vera ambizione "Voglio cambiare, non punto a essere rieletta a ogni costo". Ai raggi X i suoi trent’anni in politica e il decennio decisivo di FdI

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di Bruno

Vespa

La maggior parte degli italiani non ha votato per Giorgia Meloni. O perché non è andata proprio a votare o perché ha votato altri partiti, sperando in altre maggioranze. Ma la Meloni ha vinto le elezioni con larghezza, ha una solida maggioranza parlamentare (solida anche per la frammentazione delle opposizioni) e ha intenzione di sfidare la Storia con la speranza di entrarci. Molti l’hanno votata perché credono in lei, molti perché non credono più negli altri ("Questa è nuova, vediamo…"). La storia italiana è fatta da un popolo più intelligente e fantasioso della media europea, con tratti frequenti di genialità. Ma, al contrario degli altri paesi europei (di tutti gli altri), l’Italia si è rinchiusa in una gabbia di norme, vincoli, inefficienze, dispetti burocratici, paralisi giuridiche, assurdità ambientali, corruzione ed evasione fiscale fuori norma, che non le hanno fatto muovere un passo – dico uno – negli ultimi trent’anni. Siamo rimasti completamente fermi, mentre gli altri (tutti gli altri) sono andati avanti, alcuni camminando, la maggior parte correndo.

La chiave per capire la sfida di Giorgia Meloni è in una frase che mi ha detto nel suo studio di palazzo Chigi, nei giorni successivi alla fiducia delle Camere: "L’unico vero vantaggio che ho rispetto agli altri è che non lavorerò per restare in questo posto. Non sto qui per sopravvivere guardando i sondaggi. Tra cinque anni io non voglio essere rieletta a ogni costo. Il mio obiettivo è, piuttosto, che gli italiani portino fiori sulla mia tomba quando non ci sarò più. Se accadrà, vorrà dire che avranno da ringraziarmi per quello che ho fatto. Se non hai niente da perdere, puoi tirare di più la corda. Per fare le cose devi rompere gli schemi (...)". La Meloni dovrà attraversare lo stretto di Messina sconfiggendo il mostro Cariddi, che nella mitologia greca risucchiava le navi che osavano avventurarsi in quel braccio di mare. Lei può farcela (...). È la prima donna della storia italiana a essere titolare del palazzo del governo e vuole lasciarci il segno.

Dobbiamo perciò abituarci a provvedimenti eccezionali non perché forzino le regole costituzionali, ma perché vogliono abbattere le spire di Cariddi, trasformando semplicemente l’Italia in una nazione normale. Già la sostituzione nel linguaggio meloniano della parola "Paese" (luogo fisico) con la parola "Nazione" (luogo dell’anima) è simbolicamente indicativa del cambio di marcia. Sperare che Giorgia Meloni ce la faccia non significa essere dalla sua parte politica. Molti dei suoi provvedimenti potranno non essere condivisibili, ma la speranza è che il suo governo adotti quelli in grado di rivoluzionare il modo di agire e di pensare delle strutture burocratiche e giudiziarie che governano l’Italia (...).

Giorgia Meloni non è un big bang esploso dal nulla, come Berlusconi nel 1994 o il Movimento 5 Stelle nel 2013 e, poi, nel 2018. La sua affermazione non ha nulla da spartire nemmeno con i picchi clamorosi e in parte effimeri di Matteo Renzi nel 2014 e di Matteo Salvini nel 2019. La sua è una storia costruita passo dopo passo in trent’anni di militanza, dopo un’infanzia al tempo stesso serena e sfortunata.

Ma la Meloni è soprattutto la donna che alla fine del 2012 – prima delle elezioni politiche e non dopo, come d’uso nelle scissioni – se ne va dal Popolo della Libertà, che non le concede le elezioni primarie per la leadership del partito, e fonda un movimento che, in dieci anni esatti, la porta a palazzo Chigi. Ho ricostruito ogni passo di questa avventura politica con le due persone che hanno accettato fin dall’inizio di condividerla con lei, Ignazio La Russa e Guido Crosetto (...). Una lunga galoppata, dall’1,97 al 26 per cento dei consensi elettorali. Dopo le elezioni del 25 settembre e dopo la formazione del governo Meloni, ho incontrato tutti i leader politici. Nessuno, né la Meloni, né Salvini, né Berlusconi e nemmeno i sondaggisti, prevedevano che Fratelli d’Italia avrebbe ottenuto il triplo di ciascuno degli altri due partiti della coalizione di centrodestra, e poco meno del doppio della loro somma (...).

Questo ha creato due problemi, psicologici e politici. Salvini, che ha subito le perdite più sensibili, ha blindato la Lega nei giorni successivi alla chiusura delle urne e, dopo la formazione del governo, ha rilanciato quotidianamente i temi più cari al suo movimento, suscitando qualche imbarazzo nella stessa Meloni. Berlusconi, che ha ottenuto un risultato migliore delle ultime previsioni, ha provato a forzare sui ministri, fermandosi dinanzi alla prospettiva di una rottura e di nuove elezioni anticipate che Mattarella avrebbe avuto difficolta a non concedere, vista l’oggettiva impossibilita di una maggioranza alternativa. La posizione a favore di Putin nella guerra all’Ucraina, rettificata in parte nelle pagine di questo libro, lo ha messo in una formidabile difficolta, dalla quale è uscito rivendicando i successi diplomatici del passato e il suo indiscusso atlantismo.

Quanto all’opposizione, è tremendamente divisa. Enrico Letta riconosce con sincerità i propri errori e sta lavorando perché dalle primarie del 12 marzo 2023 esca davvero un partito nuovo, in grado di regolare da protagonista i rapporti con Giuseppe Conte e con la coppia Calenda-Renzi, prima che questi se ne dividano le spoglie. È una grande sfida per un partito che, in quindici anni di vita, non ha mai vinto un’elezione, pur controllando il potere italiano per undici anni. E si è progressivamente impigrito, tra le coccole dell’establishment. Giuseppe Conte, che deve al reddito di cittadinanza il prodigioso recupero del M5S, dovrà dare prova di una capacita di visione politica più ampia rispetto al semplice farsi voce della disperazione passiva del Mezzogiorno, mentre Renzi e Calenda, che hanno manifestato molta attenzione verso il governo Meloni, dovranno dimostrare a elettori e finanziatori, prevalentemente del Nord, di essere pronti a votare norme modernizzatrici – ammesso che la Meloni riesca a farle – che fino a oggi nessuno ha messo sul piatto.