Venerdì 19 Aprile 2024

Sessismo in Rete Sfruttamento e abusi "La rivoluzione digitale discrimina le donne"

Lilia Giugni è l’autrice di un saggio sul lato oscuro della tecnologia: "Il web amplifica le ingiustizie di genere presenti nella società. I codici etici aziendali? Buoni propositi, ma nessuno li ha attuati"

Lorenzo

Guadagnucci

Non è una Rete per donne. Anzi, è spesso e volentieri contro le donne: non solo sui social, ma anche lungo la filiera tutt’altro che pulita dell’economia digitale. Lilia Giugni parla di sessismo del capitalismo digitale e si dichiara femminista: ha scritto a Cambridge – dove ha studiato e ora insegna – in italiano e in inglese un libro, La rete non ci salverà (Longanesi), che affronta la questione in termini sistemici. Oggi ne discuterà a Sarzana inaugurando la XIX edizione del Festival della Mente (fino a domenica) dedicato quest’anno al tema del “movimento“.

Lilia Giugni, perché dice che la rivoluzione digitale penalizza le donne?

"Perché i tratti essenziali della società capitalista e del patriarcato sono scritti a lettere di fuoco nei processi dell’economia digitale. La tecnologia non è neutra: per come funziona, per come viene prodotta, per come viene distribuita colpisce in modo pregnante, anche se non esclusivo, le donne. E le colpisce in modo ancora più forte se hanno la pelle scura, se vivono nel Sud globale, se appartengono a classi sociali svantaggiate. La rivoluzione digitale ha tradito le sue promesse".

Quali promesse, e chi le aveva fatte?

"La promessa di un mondo più prospero, più aperto, più orizzontale, più democratico del quale avrebbero beneficiato anche le donne, storicamente oppresse. È la promessa che ci hanno fatto i protagonisti della rivoluzione digitale, quindi le grandi aziende e le grandi piattaforme, ma anche i politici e quel mondo culturale che ha esaltato questa rivoluzione come liberatrice. Ci sono stati molti benefici, naturalmente, e non li nego affatto, ma restano enormi forme di sfruttamento, abuso, marginalizzazione di milioni di persone e in particolare di donne ".

Sono le stesse discriminazioni di sempre o c’è qualcosa di specifico dell’era digitale?

"Nel mondo digitale si riproducono le ingiustizie di genere che già esistevano nella società, ma vengono amplificate. Fra tanti esempi faccio quello degli algoritmi: il loro funzionamento è distorto da discriminazioni di genere, di classe, di razza e moltiplicano gli effetti di disuguaglianze già esistenti; lo vediamo, per esempio, nelle assunzioni o nell’assegnazione di sussidi. Penso anche a violenze digitali come quella subita da Tiziana Cantone, coi video intimi diffusi in rete fino a spingerla al suicidio. Il mio sforzo è di mostrare che all’origine di questi fenomeni non ci sono solo comportamenti individuali – i commenti beceri, gli attacchi sessisti, la diffusione pirata di video intimi - ma un sistema, un “business model” che incoraggia questo tipo di comportamento".

Per esempio come?

"Per esempio spingendo contenuti controversi e divisivi – come i video di Tiziana e altri simili – al fine di mantenere gli utenti attaccati allo schermo e massimizzare l’estrazione di dati da

commercializzare".

Che succede a monte dell’interazione digitale, lungo la filiera?

"Dietro il digitale c’è un sostrato materialissimo di sfruttamento e violenza sulle donne. Dalle moderatrici delle piattaforme, sottoposte a stress enormi, in solitudine, per vagliare migliaia e migliaia di video con violenze, stupri, abusi di ogni tipo, alle donne impiegate nei “lavoretti” della Gig economy, a quello che c’è ancora prima, nell’estrazione di oro, cobalto, tantalio e altri minerali, o nelle fabbriche cinesi di assemblaggio. Porto il caso emblematico del Congo: lì ci

sono storie terribili di molestie e abusi sulle minatrici, di stupri di massa della guerriglia che controlla molte zone di estrazione".

Le grandi aziende hanno cercato dei rimedi, per esempio varando codici etici. Come giudica la loro risposta?

"C’è stata ma non è abbastanza, neppure lontanamente. I codici etici sono documenti interni, verificarne l’applicazione è difficile. Sono più interessanti certe proposte di riforma legislativa". Per esempio?

"Per esempio una seria tassazione dell’industria tech, che nella pandemia ha accumulato profitti enormi, reinvestendo nell’accesso alla Rete per chi ne è sprovvisto; e leggi sulla trasparenza degli algoritmi, io propongo che ci siano Garanti nazionali ai quali possa fare ricorso chiunque. Negli Usa, poi, si stanno studiando leggi antitrust".

Che possono fare le singole persone per combattere il sessismo in Rete?

"Possono fare molto. Per esempio organizzare spazi digitali alternativi, o usare quelli esistenti

con cautela e disciplina, nella consapevolezza che nessuno è immune dai loro lati oppressivi e negativi. Dobbiamo però sapere che la risposta alle grandi ingiustizie non è mai individuale, ma sempre collettiva. Perciò dobbiamo preservare lo spazio dell’utopia, che è un’attività immaginativa preziosa: è la capacità di guardare oltre l’esistente".

Lei ha una sua utopia?

"Io vedo molti spunti dai quali iniziare: i dati personali come bene comune, quindi non commercializzabili; l’accesso a Internet come diritto umano; le suggestioni eco-femministe per la gestione di risorse ormai scarse; il reddito universale di base come pilastro di una società della cura. L’utopia ha oggi una cattiva nomea, ma io la vedo come un muscolo; un muscolo che si è atrofizzato e che dobbiamo reimparare a usare".