Giovedì 18 Aprile 2024

Senza contenuti e alla ricerca di scorciatoie

Sofia

Ventura

All’Assemblea costituente del nuovo Pd, il segretario uscente Enrico Letta ha tenuto il suo discorso di traghettamento verso il Pd di domani. Serio, non privo di amarezza, ma fiducioso sul futuro, ha compiuto il suo ultimo importante gesto politico. Oggi sappiamo, però, che l’impresa di rinnovare un partito correntizio, autoreferenziale, in perdita di consensi non è riuscita. L’ennesimo segretario che se ne va lasciandosi alle spalle conflitti, differenze inconciliabili e capibastone. È la storia del Pd, che non ha mai costruito solide e durature leadership, radicate nel partito e con chiari indirizzi. Per il semplice motivo che è sempre stato un partito feudale (espressione utilizzata in un incontro pubblico, descrivendo l’allora suo partito, da D’Alema), ostaggio di “signorotti“ più interessati al proprio potere che non al partito. L’unico che tentò di sfidare l’oligarchia, Renzi, tanto era obnubilato dall’amore di sé che lasciò rovine e i soliti noti a riorganizzarsi.

Letta, in fondo, lascia ciò che trovò al suo arrivo, anche se nel frattempo la delusione dell’elettorato è aumentata. Ci si potrebbe chiedere perché non sia riuscito nell’impresa. Innanzitutto, fu chiamato dai capi di quelle correnti che per rilanciare il Pd avrebbe dovuto debellare. Missione impossibile. Quindi ha ripetuto un errore tipico nel partito, ovvero cercare scorciatoie tattiche per costruire il proprio progetto politico, facendo di quel progetto più un meta-discorso sulla politica (alleanze, fusioni, coalizioni) che non una solida proposta di contenuti. A lungo è stato il corteggiamento del M5s, ora il cedimento al partitino scissionista di sinistra, che per tornare a casa ha preteso di farsi protagonista della fase ri-costituente. Insomma, i problemi di sempre sono tutti lì. Una cosa è cambiata: il Pd è all’opposizione e vi rimarrà a lungo. Per un partito precocemente invecchiato nei Palazzi sarà un’utile occasione.