Giovedì 18 Aprile 2024

Semestre bianco Più danni che benefici

Raffaele

Marmo

Pochi giorni ancora e dall’inizio di agosto la politica italiana dovrà fare i conti con il cosiddetto "semestre bianco": il periodo di tempo, coincidente con la fine del mandato presidenziale, durante il quale il Capo dello Stato, per la Costituzione, non può sciogliere le Camere. "Salvo – in base alla riforma Amato-Bassanini del ’91 - che il semestre bianco coincida in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura".

Ora, lasciando da parte i retroscena e i rumors sui rischi che correrebbe il governo in carica (qualche leader potrebbe essere tentato dalla spallata senza pagare il pegno del voto anticipato, anche se ci ha già pensato Mario Draghi a bloccare i giochi e i giochetti prima che cominciassero), ebbene, andando oltre il contingente, la domanda vera è: ha senso oggi mantenere ancora in vigore questo limite? È funzionale al corretto dispiegarsi della dinamica politico-istituzionale di una democrazia matura? O non sarebbe più opportuno e fluido ipotizzare la non rieleggibilità (quantomeno immediata) del Presidente della Repubblica, che ha un mandato di sette anni, con l’eliminazione del vincolo?

Il dibattito va avanti fin dalla Costituente, nella quale si confrontarono sul punto, nella Commissione Ruini, Aldo Moro e Palmiro Togliatti, finendo per accogliere l’emendamento sul limite del potere di scioglimento del sindacalista filosofo sardo comunista Renzo Laconi: per evitare che il Capo dello Stato potesse influire o condizionare il Parlamento nell’elezione del nuovo Presidente. Ma da allora è stato un fiorire di tentativi autorevoli per andare verso la non rieleggibilità correlata alla fine del vincolo. Da ultimo con tutto il suo peso a indicare questa strada, richiamando un messaggio di Antonio Segni, è stato lo stesso Sergio Mattarella nel febbraio scorso. Peccato, però, che ci ritroviamo puntualmente di fronte a un altro meccanismo anacronistico e a un’altra occasione mancata.