Mercoledì 24 Aprile 2024

"Segni indelebili dal trauma Ma tutti si possono curare"

La psichiatra Dell’Osso e l’importanza di riconoscere in tempo le patologie "Il mostro si può solo linciare, la vera sfida per medici e società è la riabilitazione"

di Tommaso Strambi

"Il genere umano tende a ricordare gli abusi a cui è stato sottoposto, piuttosto che le tenerezze. Che cosa resta dei baci? Solo le ferite lasciano cicatrici", scriveva Bertolt Brecht. E di cicatrici Mirko Genco, il 24enne reo confesso dell’omicidio di Juana Cecilia Hazana Loayza ne aveva tante. A cominciare dal vuoto lasciato dalla madre che, sei anni fa, fu brutalmente uccisa dal convivente. Un vuoto, colmato dalla nonna che lo ha cresciuto, le cui carezze però non sono riuscite a ricucire quelle cicatrici impresse nella pelle di Mirko. Il suo gesto è ingiustificabile senza se e senza ma. Eppure da tempo la psichiatria moderna sostiene che si può intervenire prima che l’ossessione trasformi questi soggetti (uomini o donne che siano) in assassini. Liliana Dell’Osso, presidente del Collegio dei professori ordinari di psichiatria della Società italiana di psichiatria e consulente di molte Procure ha studiato a lungo gli effetti di traumi e abusi.

Professoressa c’è una correlazione tra quello che Genco ha subito sei anni fa e quanto ha commesso venerdì notte?

"È ben noto l’effetto dell’esposizione a un trauma estremo. Si tratta di un potentissimo patogeno: pochi individui, molto resilienti, possono far fronte ad esso. Molti altri, però, vengono irreversibilmente danneggiati da condizioni ambientali avverse".

Il trauma non superato che diventa ossessione?

"Si tratta di un incubo da cui, senza aiuto clinico, è impossibile svegliarsi. Ricordi involontari dell’evento fanno improvvisamente irruzione nella coscienza (flashback), cronicamente riattualizzati. Come nell’inferno dantesco, si rivive l’esperienza traumatica all’infinito, senza possibilità di sfuggire. Si perde anche il controllo sui meccanismi di regolazione degli impulsi. Chi sopravvive ad un trauma estremo vive costantemente “sul filo del rasoio”, irritabile, pronto alla collera, incapace di concentrarsi. Ciò che è successo una volta potrebbe succedere ancora: all’improvviso tornano i ricordi intrusivi che sfuggono al controllo, vero è proprio “fuoco amico” contro il paziente stesso. La ferita, insomma, rimane aperta, rimane nella mente, sopravvive ai provvedimenti giudiziari e ai processi, ci insegue nella coscienza pubblica e torna a manifestarsi dalle pagine della cronaca".

Nella sua attività di psichiatra ha trattato casi analoghi?

"Il parallelismo tra vittima e carnefice è presente in tutta la letteratura scientifica ed emerge frequentemente nelle storie che balzano agli “onori” della cronaca in cui si intravede una sorta di processo di identificazione con l’aggressore, un’inversione di ruolo. È alla base ad esempio della cosiddetta teoria dell’“abusatore abusato”, che, pur con le molte limitazioni legate alla complessità del fenomeno, traccia le più frequenti traiettorie psico(pato)logiche conseguenti all’esposizione precoce ad abusi (che possiamo ipotizzare nel caso in questione): lo sviluppo di un disturbo di personalità borderline o antisociale".

Nel suo recente saggio Mostri, seduttori e geni non ci sono ”mostri“ irredimibili?

"Il mostro, colui che si trova dall’altra parte del dito puntato, è una categoria di fortuna dell’intelletto, ancora oggi invocata per lo più a sproposito. Essa è una reazione ad un fenomeno complesso umanamente comprensibile, ma che conduce ad un atteggiamento mentale non produttivo. Il paziente si può curare, il disturbo si può prevenire, ma il mostro si può solo linciare, con scarso sollievo per le vittime. L’ambizione della scienza medica è di riconoscere la patologia dietro al comportamento, studiarne la natura e le particolarità, per la cura e la riabilitazione".

Quindi se si riconoscono i campanelli d’allarme si può intervenire e prevenire?

"C’è di più. A ben vedere quella del mostro è una semplificazione terribile: non aiuta le vittime, e non previene potenziali crimini. Al contrario, se all’essere ferale, si sostituisce l’uomo, è forse possibile giungere a prevenire il crimine attraverso la presa in carico. Non si salverebbero, in questo caso, soltanto le vittime. Si impedirebbe, in accordo con la missione ippocratica, che un potenziale carnefice diventi tale, interrompendo una condizione psicopatologica prima che l’agito si scateni".