Sedazione o eutanasia, ecco cosa dice la legge

Il prof Canestrari, del Comitato nazionale per la bioetica: "Il suicidio assistito prevede un farmaco letale e un’ultima azione autonoma del paziente"

Marco Cappato consegna le firme raccolte per il referendum a favore dell’eutanasia

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Innanzitutto sgombriamo il tavolo da qualsiasi tesi ideologica. Non aiuta. E non serve. Qui si parla di sofferenza. Vera, non astratta. Il professor Stefano Canestrari, ordinario di Diritto Penale all’Università di Bologna e membro del Comitato nazionale per la bioetica, ha un approccio laico (nel senso etimologico) sul tema del fine vita. Un tema che incide sulla ’carne viva’ di ciascuno di noi.

Professore, ci può spiegare la differenza tra suicidio medicalmente assistito e sedazione palliativa profonda continua?

"Nel suicidio medicalmente assistito il personale medico mette a disposizione il farmaco letale ed è necessario che l’ultima azione sia posta in essere dal paziente in autonomia. Dunque, la morte è conseguenza della autosomministrazione di un prodotto letale. Invece, la sedazione palliativa profonda continua è un trattamento sanitario che avvia la persona malata ad una morte naturale e ha come effetto l’annullamento totale della coscienza ed un “sonno senza dolore” fino al momento del decesso. Anche il paziente che si inserisce in un processo di fine vita a seguito di rifiuto o di rinuncia a trattamenti sanitari (anche salvavita) ha diritto di beneficiare, in caso di sofferenze refrattarie nell’imminenza della morte, della sedazione profonda e continua. Mentre, quindi, attraverso il suicidio medicalmente assistito il paziente “chiede ed ottiene” una morte “immediata”, mediante il ricorso alla sedazione palliativa profonda e continua si avvia un percorso di accompagnamento verso la fine della vita, che non anticipa il momento del decesso".

Come è disciplinata la sedazione profonda continua?

"La sedazione palliativa profonda continua è disciplinata dall’art. 2, comma 2, della legge n. 219/2017, che precisa quando sia legittimo adottare un protocollo di sedazione profonda e continua. La legge stabilisce quando il medico può ricorrere alla sedazione palliativa profonda continua in associazione con la terapia del dolore. Tale percorso potrà essere avviato col consenso del paziente nel caso in cui quest’ultimo si trovi ad affrontare una condizione di sofferenze “refrattarie ai trattamenti sanitari”, ossia che non mutano nonostante i trattamenti".

Chi può richiedere questa soluzione e come?

"La legge 219/2017 riconosce ad ogni persona "capace di agire" il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, compresi i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiali, sottoponendosi a sedazione profonda continua, nel contesto della "relazione di cura e di fiducia", la cosiddetta alleanza terapeutica, tra paziente e medico. Si osserva che la sedazione profonda e continua può essere non solo inserita all’interno delle Disposizioni Anticipate di Trattamento (DAT) – comunemente conosciute come “testamento biologico” – disciplinate all’art. 4 della legge 219/2017, ma anche essere oggetto della pianificazione condivisa delle cure (art. 5, legge 219/2017)".

Che cos’è la pianificazione condivisa delle cure?

"È un istituto, purtroppo poco noto, ma rappresenta un apprezzabile strumento per rafforzare l’alleanza terapeutica tra medico e paziente. L’art. 5 disciplina la possibilità di definire, e di fissare in un atto, in relazione all’evoluzione delle conseguenze di una patologia cronica ed invalidante o caratterizzata da inarrestabile evoluzione con prognosi infausta, una pianificazione delle cure condivisa tra paziente e medico. Il medico è tenuto ad attenersi a quanto stabilito in tutte le ipotesi nelle quali il paziente venga a trovarsi nella condizione di non poter esprimere un valido consenso. Possiamo quindi collocare la pianificazione condivisa delle cure in una posizione “intermedia“ tra il caso in cui il paziente esprima “sul momento” un consenso attuale, e quello in cui invece disponga della propria volontà attraverso le DAT. Ritengo che lo strumento appena descritto abbia un significativo valore etico anche in considerazione del fatto che il piano di cura condiviso può essere rinnovato, aggiornato o modificato su richiesta di un paziente “competente“ riguardo all’evoluzione della sua patologia".