Martedì 23 Aprile 2024

Se lo Stato stacca la spina, di chi sono i nostri figli?

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Davide

Rondoni

Di chi sono i nostri figli? E di chi siamo noi? L’ultima parola sulla nostra vita, sulla morte, a chi spetta? Sono interrogativi importanti, rilanciati da una vicenda che anima il dibattito inglese. Un ragazzino di 12 anni viene trovato privo di sensi lo scorso aprile in casa. Si chiama Archie, non ha più ripreso conoscenza. I medici del Royal London Hospital decretano che dopo alcuni mesi si può staccare la spina, essendo "altamente probabile" la degenerazione di cellule cerebrali e la morte.

La madre, opponendo il fatto che il cuore batte ancora, che Archie le avrebbe "stretto la mano", ha fatto ricorso ai giudici. Che in primo grado però han dato ragione al parere medico. La madre annuncia ricorso e con lei molte associazioni e gente comune. Molte cose entrano in questione, non è semplice fare ordine. Gli sviluppi tecnologici delle cure, i loro costi, da un lato, dall’altro il legame di una madre con il figlio. E in mezzo la scienza che si spinge a dire "altamente probabile", ma non può dire "assolutamente sicuro"; e lo Stato che con i suoi giudici decide.

Sono tutte questioni che dentro ne hanno altre, e a enumerarle si scomporrebbe la questione all’infinito. Ma proprio per questo, occorre avere un punto di vista sintetico, il punto di vista giusto. Ovvero, la risposta alla domanda: di chi siamo? di chi è Archie? Se è innanzitutto figlio e protagonista del rapporto con la madre e la famiglia, a costoro spetterebbe, all’esaurimento di ogni speranza, decidere. Se invece Archie è dello Stato, come parrebbe dalla sentenza di primo grado, allora questo ente deve fare i conti con le proprie esigenze e decidere, secondo propri parametri.

Tutto chiaro? No. Perché gli Stati si danno da fare per salvare vite in mare anche quando è "altamente probabile" un naufragio. E in mille occasioni, singoli e collettività, ci opponiamo all’avverarsi di cose "altamente probabili". Perché in questo caso no? E torna la domanda, micidiale: di chi siamo?