Mercoledì 24 Aprile 2024

Se l’indicibile diventa accettabile

Giuseppe

Catozzella

L’indicibile, l’uso dell’arma atomica, è diventato accettabile. Da mesi se ne parla come di una possibilità; da settimane gli attacchi alla centrale nucleare di Zaporizhzhia non ci fanno più temere di saltare in aria; da giorni la guerra nucleare viene mostrata come uno scenario verosimile. Quello che dopo Hiroshima era diventato indicibile – durante la Guerra fredda, dopo l’abbattimento di un volo di linea americano da parte dell’Urss si ventilò l’utilizzo dell’arma atomica, ma fu accolto da ondate di movimenti pacifisti, fu tacciato di apocalisse, venne girato The day after per scongiurarlo – oggi è tornato possibile. La memoria ha fatto il suo corso. L’aspetto più terribile della guerra, come racconta chi l’ha vissuta – Irène Némirovsky in Suite francese, Natalia Ginzburg in un capolavoro come Tutti i nostri ieri, Primo Levi ne La tregua, Edit Bruck ne Il pane perduto – non è la guerra in sé, con il suo carico di devastazione, ma è l’effetto che produce in noi: finiamo per abituarci alla distruzione. Di più, finiamo col prenderne parte.

È difficile, ci ammoniscono, in mezzo a una violenza che perdura, scegliere la pace. I meccanismi di difesa impongono l’individuazione di un colpevole. Ma in epoca social la guerra è combattuta innanzitutto sul fronte della propaganda. Tanto sono vitali le armi, quanto lo è il produrre una narrazione della realtà che nessuno è quasi più in grado di verificare, così da disintegrare la realtà. E quando la realtà svanisce, a vincere sono le più efficaci fake news, che si alimentano della coazione a cercare un colpevole. È un circolo vizioso. La pace, in tutto questo, sta seduta dalla parte del torto, come diceva Brecht. Così il fatto, lo ricordava Gino Strada, che nei conflitti il 93% dei morti sono civili innocenti. Ma noi dalla parte del torto non vogliamo sederci. Tanto una guerra atomica finirà comunque per colpire altri. Non noi.