Scuola: no al pomeriggio e pochi autobus. Scaricabarile sulla pelle degli studenti

Il 7 gennaio superiori in classe al 50%. Prof e sindacati impediscono un vero scaglionamento. I medici: così è rischioso. Le regioni tentennano

Scuola, il rientro in classe dopo l'epifania

Scuola, il rientro in classe dopo l'epifania

La mattina dopo il Capodanno, a cinque giorni dall’annunciata riapertura delle scuole, la maggior parte delle Regioni si accorge che bisogna convocare una riunione d’urgenza per stabilire come far ritornare gli studenti in classe. Sempre che sia possibile farlo, perché gli annunci squillanti di un 7 gennaio quasi normale con le lezioni in presenza a scuola al 50%, sono già un lontano ricordo.

Eppure di tempo ce n’era per pianificare il rientro (in sicurezza) e le lezioni in presenza. Completamente dilapidato. Così va in scena il solito scaricabarile. Le Regioni se la prendono con chi doveva pensare a potenziare le corse dei mezzi pubblici. Salvo notare che l’affluenza degli studenti sui bus, come sottolinea Arrigo Giana, presidente dell’Agens, l’agenzia confederale dei traporti, è decisamente meno rilevante di quella delle altre categorie e degli altri pendolari. E comunque chi si occupa di trasporti dice che quello che andava fatto è stato fatto. E’ la tesi anche del ministero guidato da Paola De Micheli: le corse di metro e bus sono sufficienti, piuttosto chi doveva pensare a orari davvero scaglionati, magari con ingressi a scuola anche pomeridiani, non ci ha pensato (o non ha voluto pensarci). Apriti cielo, i dirigenti scolastici (e non solo loro, perché anche sindacati, insegnanti e bidelli sono sulla stessa linea), sostengono che far lezione di pomeriggio sia pressoché impossibile. Risultato? Tutto il peso delle scelte che non sono state fatte, dal governo a scendere, viene fatto ricadere sugli studenti.

Così, pensare a un ritorno alla (quasi) normalità, sembra difficile. Il ministro Lucia Azzolina continua a ripetere: "Non possiamo arrenderci, ricordandoci sempre del peso specifico che questa Istituzione ha nel percorso di ogni bambina e bambino, delle ragazze e dei ragazzi, nella vita del Paese. Arretrare sulla scuola, significa rinunciare a un pezzo significativo del nostro avvenire. Per questo non lo faremo". Ma credere che il 7 gennaio – mancano quattro giorni (e c’è in mezzo una domenica e l’Epifania) – tutto fili liscio col rientro in classe del 50% della popolazione scolastica è più che altro una professione di fede. In tutto questo c’è anche l’imbarazzo e la cautela delle Regioni. Il governatore dell’Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, nonché presidente della Conferenza Stato-Regioni, dice: "Se c’è preoccupazione per il rischio di un boom di contagi con la riapertura delle scuole sarebbe giusto che il governo nelle prossime ore ci riconvocasse e insieme prendessimo una decisione, in maniera molto laica". Frena anche il governatore del Veneto, Luca Zaia: via libera a un ritorno al 50%, solo se ci sono le condizioni. La Campania ha già fatto sapere che il ritorno in classe al 50% slitterà a fine mese, il governatore della Puglia, Michele Emiliano, pensa a soluzioni ad hoc.

E così come nella migliore delle soluzioni italiane, ci si arrangia. Come sempre in ordine sparso. A metà pomeriggio di ieri il Lazio fa uscire la possibilità di fare due ingressi "scaglionati" al mattino: alle 8 e alle 10. Di pomeriggio non se ne parla, troppe le resistenze anche sul fronte sindacale. E come una soluzione annuncia di tagliare le ore di lezioni: non più 60 minuti, ma 45 minuti. Meglio di niente.

Anche le parole degli scienziati sono più di un’indicazione su che cosa deciderà il prossimo Cts. Perché per l’ordine dei medici è possibile riaprire le scuole solo se tutta l’Italia sarà zona rossa. "Se davvero tutti stanno a casa – afferma Filippo Anelli – riducendo così la pressione sui trasporti e se i ragazzi non possono aggregarsi fuori i sistemi di tutela messi a punto all’interno delle scuole possono funzionare. Altrimenti i contagi si rialzano". A questo scaricabarile sulla scuola, assistono gli studenti. Che nell’attesa di sapere se il 7 gennaio dovranno tornare in classe, hanno capito di essere i perfetti capri espiatori di un Paese che ritiene più facile scegliere di non scegliere.