Mercoledì 24 Aprile 2024

Scontro Berlusconi-Meloni "Giorgia arrogante e offensiva" Lei replica: non sono ricattabile

I duri giudizi contenuti in un appunto del leader azzurro fanno infuriare la premier in pectore. Forza Italia divisa tra i fedelissimi della Ronzulli e le "colombe" più vicine a Tajani

di Antonella Coppari

Peggio del disastro del Senato non sembrava che potesse andare. E invece, la situazione è precipitata ulteriormente. Uno scontro nel quale volano parole che non sarà facile dimenticare. Giorgia è prepotente, arrogante e ... non ricattabile. Viatico più infausto per la nascita del prossimo governo non si poteva immaginare: il centrodestra balla sull’orlo della crisi. Colpa di un appunto ad uso personale, scritto a mano dal Cavaliere giovedì, dopo l’incontro con la leader di FdI, che viene invece immortalato e divulgato da una telecamera con zoom. "Giorgia Meloni: un comportamento supponente, prepotente, arrogante, offensivo. Nessuna disponibilità ai cambiamenti, è una con cui non si può andare d’accordo". Ci sarebbe anche un altro aggettivo: ’ridicolo’, cancellato con un tratto di penna. Furibonda, la destinataria di tali complimenti, a caldo in pubblico tiene botta: parlotta con Salvini a Montecitorio nella pausa della votazione per Lorenzo Fontana: "Berlusconi lo sentiamo domani (oggi, ndr)".

La toppa che, poco dopo, prova a mettere il neo-presidente del Senato, Ignazio La Russa è più dannosa del buco: "Silvio dichiari quello di cui sono quasi certo: è un fake". Figuriamoci: non solo la grafia è quella del Cavaliere, ma lui proprio non ha intenzione di rimangiarsi nulla. Non dà ascolto neanche a chi gli suggeriva di spiegare che aveva messo nero su bianco una ‘collazione’ di giudizi sentiti in giro su Giorgia. È questo misto di risentimento e voglia di vendetta che fa filtrare. E la leader di FdI non le manda a dire: alle otto di sera, lasciando i suoi uffici alla Camera, sbotta: "Mi pare che tra quegli appunti mancasse un punto e cioè ‘non ricattabile’". L’ira della futura premier non si ferma qui: all’alleato fa pervenire la minaccia di non inserire nella squadra di governo i senatori rei di non aver votato La Russa. Verrebbero cosi falcidiati nomi che sembravano già scritti sulla porta di un dicastero come Bernini e Gasparri. Certo, la punizione potrebbe ammorbidirsi – dicono a via della Scrofa – qualora Berlusconi arrivasse a più miti consigli, se si decidesse cioè a depennare una volta per tutte il nome di Licia Ronzulli dalla lista dei desiderata, e rinunciasse a quel ministero della Giustizia che la premier in pectore ha già deciso di assegnare a Carlo Nordio.

Solo che Silvio è furioso quanto lei, e forse anche di più. Sul diritto di designare i nomi dei "suoi" ministri non ha intenzione di tornare indietro, "è una questione di principio, non trattabile". La stessa Ronzulli, il primo casus belli, potrà essere ritirata ma solo dopo un chiarimento definitivo sui poteri di veto che Giorgia "non deve esercitare". In caso contrario, fa capire il Cavaliere ai suoi, continuiamo a non votare niente. L’idea di andare da soli alle consultazioni pare stemperata, anche se non del tutto rimangiata, ma dopo gli insulti di ieri la situazione è già oltre quel livello. Lo scontro si riflette in una propria e vera guerra civile nel partito: la linea oltranzista che Ronzulli, Casellati, Sisto e Occhiuto hanno convinto il Cavaliere a tenere dentro e fuori Palazzo Madama viene osteggiata dalle colombe.

Antonio Tajani – che nel pomeriggio partecipa a un vertice con Berlusconi e Ronzulli a Villa Grande – fuori di sé la definisce "demenziale". Pensiero che condividono molti a Montecitorio, dove il gruppo è spaccato a metà, come emerge dal voto su Lorenzo Fontana e dalle due candidature per la guida: i falchi sponsorizzano Giorgiò Mule, le colombe il presidente uscente, Paolo Barelli. Non basta: i figli del Cavaliere, in particolare Marina, sono molto arrabbiati con la senatrice lombarda per l’umiliazione subita dal padre il ’primo giorno’ di Senato, che doveva essere il suo grande ritorno. "Lei aveva avvertito la sera prima che Meloni avrebbe trovato i voti per La Russa altrove e che il Cavaliere andava difeso", racconta chi ha assistito alla sfuriata della figlia maggiore.Pure la senatire Anna Maria Bernini aveva tentato di far cambiare linea all’ex premier: c’è chi giura d’averla vista con gli occhi lucidi di lacrime, quando ha capito che ogni sforzo era inutile. Ammesso di nuovo nella riunioni riservate nella residenza romana di Silvio, Gianni Letta aveva dato la steessa indicazione: "Deve essere Licia a fare un passo indietro".

Parole al vento. La tensione resta, ma la faida nel partito non è nulla rispetto a quella tra i due alleati, perché mette in discussione l’unità dell’intero centrodestra. Ad occhi attenti, non è sfuggito l’incontro fra il leader centrista Lorenzo Cesa e Francesco Lollobrigida, capogruppo uscente di FdI: al centro del colloquio la possibilità, per gli uomini dell’Udc, di dare vita a un gruppo centrista. "Se bisogna far partire un’esperienza di governo – avverte Lollobrigida – bisogna chiarire subito da che parte si sta". Ancora più netta, Giorgia Meloni: io sono pronta a tutto, anche a tornare al voto, sbotta con gli intimi.