Cospito, la sfida dell’anarchico: "Avanti fino alla morte". E obbligarlo non si può

In sciopero della fame da mesi, rischia di morire. Lo Stato potrebbe usare lo strumento del Tso per evitare il decesso? La costituzionalista: prevale la volontà del singolo, anche se detenuto

Nel Paese che si divide su tutto, il caso Cospito polarizza la politica e inquieta i giuristi. Lo sciopero della fame scattato da oltre 100 giorni contro la reclusione al 41 bis e l’esplicito rifiuto di ogni alimentazione forzata – a meno dello stop al regime di carcere duro – candidano l’esponente anarco-insurrezionalista, condannato a 30 anni e dimagrito di 45 chili, a un’alta probabilità di morte. E mentre il ministro della Giustizia Carlo Nordio, strattonato da destra e sinistra, fatica a prendere il controllo della situazione, in pochi sembrano valutare pienamente la posta in palio. Sul piano etico e reputazionale.

É un crinale sottilissimo, con doppio precipizio (da un lato la possibile morte di Cospito, dall’altro l’immaginata resa del governo e dello Stato), quello in cui si svolge questa doppia partita. Nella sua battaglia, nata da ragioni personali e poi eletta a questione generale, Cospito minaccia di andare fino in fondo. "Voglio vivere", dice a chi, come il medico e consigliere regionale di +Europa, Michele Usuelli, l’ha visitato mercoledì al carcere di Opera; al tempo stesso ribadisce, tramite il proprio legale Flavio Rossi Albertini, che "non accetterà somministrazioni di cibo e continuerà lo sciopero della fame". Promessa che si incastra con quella della scorsa settimana: no a Tso e alimentazione forzata. Sta scritto nelle Dat (Disposizioni anticipate di trattamento) consegnate all’amministrazione penitenziaria e all’avvocato di fiducia.

Alfredo Cospito
Alfredo Cospito

L’articolo 32 della Costituzione è il fondale in cui si gioca questa partita. "Lo Stato “tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività“, quindi come valore assoluto – spiega Andrea Morrone, ordinario di diritto costituzionale all’Università di Bologna –. Ma lo stesso articolo precisa che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“. Dunque c’è un conflitto di valori. Al contrario, sul 41 bis la partita è tutta politica, come confermano il trasferimento del detenuto nel carcere di Opera strutturato per emergenze sanitarie, e la stessa previsione di legge che assegna al Guardasigilli il compito di decidere su ogni attribuzione del carcere duro. Cospito ha scelto di combattere la sua battaglia mettendo in conto anche di morire. Ma chiunque in linea teorica potrebbe imitarlo, in carcere o fuori. Quindi tutti gli attori del caso si muovono su un campo politico", conclude Morrone.

Lo Stato potrebbe forzare Cospito a nutrirsi per evitare il decesso? La legge 2172019 parla chiaro. Secondo la costituzionalista Francesca Biondi, la presenza di Dat molto esplicite disegna un confine invalicabile. "Le autorità mediche – continua l’ordinaria alla Statale di Milano – devono spiegare dettagliatamente al detenuto le conseguenze della propria scelta. Ma se non c’è infermità psichica, la volontà del singolo prevale. E il fatto che il detenuto sia sotto la custodia e la diretta responsabilità dello Stato nulla toglie alla sua potestà decisionale, come affermato anche in una recente sentenza del 2022 della Corte europea dei diritti dell’uomo". Situazione diversa – ammette il legale di Cospito – nell’ipotesi di arresto cardiaco: "Nel caso, immagino ci sia un obbligo giuridico dei medici di salvargli la vita", con un calibrato pronto soccorso e l’immediato trasferimento al San Paolo di Milano.

Da tre giorni l’esponente della Fai (Federazione anarchica informale) non assume più integratori. A questo ritmo, secondo le stime della cardiologa Angelica Mellia, rischia davvero la vita. E se morisse al 41 bis sarebbe una sconfitta anzitutto per chi, con toni muscolari, sostiene la validità e l’intangibilità del carcere duro. "Io penso che si siano incartati, non avevano fatto i conti con Alfredo – riflette Rossi Albertini –. Se avessero ragionato di più sul destinatario dei provvedimenti, qualche cautela avrebbero potuto adottarla".