Concordia, Schettino subito a Rebibbia: "Mi costituisco, credo nella legge"

L’ex comandante: non voglio mostrarmi con le manette ai polsi

Francesco Schettino

Francesco Schettino

Roma, 13 maggio 2017 - HA BUSSATO alla porta del carcere di Rebibbia e si è costituito. Si è chiusa così la lunga attesa di Francesco Schettino. Dopo cinque anni e cinque mesi dalla notte del naufragio, l’ex comandante della Costa Concordia è dietro le sbarre. «Sono Francesco Schettino. Sono qui per costituirmi spontaneamente, fatevi mandare l’ordine di carcerazione». Ordine di carcerazione che per prassi è stato firmato dal procuratore capo di Grosseto, Raffaella Capasso.  Lo aveva detto al suo avvocato, Saverio Sanese, quando gli aveva comunicato che era «andata male». Che la condanna era diventata esecutiva. Dal «Profumo di agrumi», questo il nome dell’ultima maledetta crociera della Costa Concordia, all’odore acre di una cella del carcere di Rebibbia. Finisce così la vicenda dell’ex comandante Francesco Schettino, 56 anni. IERI, una manciata di minuti prima delle 20, la quarta sezione penale della Corte di Cassazione ha messo la parola fine sul processo al capitano di Meta di Sorrento che quella dannata notte del 13 gennaio 2012 portò il transatlantico da crociera da 114mila tonnellate a sbattere contro la costa dell’Isola del Giglio. Facendolo naufragare. Un inchino finito male. Tragicamente. Costato la vita a 32 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. «Credo nella giustizia, le sentenze vanno rispettate e quindi vado a bussare al carcere e dico ‘Io sono qui’». Così aveva annunciato al suo avvocato e così ha fatto pochi minuti dopo. 

(Foto Ansa) LUI, IL CAPITANO prima guascone, che ha vissuto l’intero processo di primo grado a Grosseto sotto i riflettori, ieri non ha atteso il verdetto degli ermellini al Palazzaccio. Così come non aveva preso parte alle udienze fiorentine. Dopo la batosta della condanna in primo grado Capitan Inchino, così ribattezzato nel corso di questi cinque anni, aveva scelto un low profile. Non rilasciando dichiarazioni in pubblico e mostrandosi di rado in pubblico. Niente più completi doppiopetto e capelli impomatati. Col fare da guascone. Più magro, con la barba lunga e abbigliamento dimesso. Così è apparso Schettino negli ultimi mesi. Lontano dai riflettori che invece all’inizio della vicenda giudiziaria quasi cercava per gridare la sua innocenza.  UNA METAMORFOSI che però non è servita. Quella sciagurata scelta di puntare dritto alla costa del Giglio, i ritardi nell’emergenza, e soprattutto l’abbandono della nave non gli sono stati perdonati. Sedici anni di reclusione per omicidio colposo plurimo, lesioni aggravate, naufragio, abbandono di persone incapaci di provvedere a se stesse e abbandono della nave. È il grande colpevole. Non l’unico, perché altri tra ufficiali e personale di bordo hanno scelto di chiudere il proprio coinvolgimento prima del dibattimento, ma è il principale responsabile. E ieri la Suprema Corte lo ha ribadito, dando esecuzione alla pena di sedici anni di reclusione che nasce in Maremma a febbraio del 2015 e confermata in Appello il 31 maggio dello scorso anno. Schettino ora non ha più gradi da attendere, deve espiare la sua pena e lo sta facendo da ieri sera. Ma non è stata una sorpresa, probabilmente. Il suo allontanamento da Meta di Sorrento già da due giorni è indicativo.  «NON LO VEDIAMO più fuori con il cane – raccontava ieri la titolare del bar dove l’ex comandante era solito fermarsi – Già da due giorni». Forse era già via. Per stare lontano dai clamori. Ha scelto di trascorrere le ultime ore da uomo libero da solo, in attesa del verdetto. «Voleva evitare la mortificazione di mostrarsi con le manette ai polsi – ha spiegato in conclusione Senese – così si è presentato, in portineria a Rebibbia, per evitare l’ennesima gogna mediatica».  Alla lettura della sentenza, in contatto telefonico con l’avvocato, Schettino ha oltrepassato la fatidica grata del carcere romano, che si è richiusa dietro le sue spalle.

Sarà tutto riciclato
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