È nella cornice che si nasconde il senso più profondo di un delitto. Nel caso di Andrea Sempio, e quindi nel delitto di Garlasco, quella cornice è una costellazione comportamentale rimasta a lungo in ombra: post pubblici quasi ossessivi nei giorni delle condanne di Alberto Stasi, frasi criptiche annotate nei suoi scritti — “ho fatto cose così brutte che nessuno può neanche immaginare” — e un passato improvvisamente cancellato prima del 2017, come se la memoria stessa fosse stata epurata, o riscritta.

È con questo bagaglio che Sempio si è presentato davanti alle telecamere. Ma a parlare non sono state solo le sue parole. Già in una precedente intervista a Quarto Grado, chiamato a raccontare il suo rapporto con Chiara Poggi, il linguaggio del corpo aveva cambiato volto. Lo sguardo si era abbassato, il volto si era contratto. La tensione non era quella di chi mente, ma di chi teme che la propria versione possa sgretolarsi sotto il peso di un legame che non può essere spiegato senza cambiare tutta la narrazione. Poi è arrivata l’intervista a Chi l’ha visto? di due giorni fa.
Lo sguardo è apparso sfuggente, raramente diretto. Si è abbassato spesso, si è spostato lateralmente, come fa chi cerca una via di fuga anche da fermo. Il tono di voce era basso, monocorde, privo di variazioni emotive. Nessuna vibrazione autentica, nessun tremito. Le parole sembravano ripassate e imparate a memoria. Ma soprattutto: non pesavano sul corpo. Il dettaglio più eloquente è stato proprio questo: la mancanza di coerenza tra ciò che veniva detto e ciò che veniva mostrato. Sempio ha affermato di essere stato “ovunque” nella villetta di via Pascoli. Il suo corpo, però, non ha mostrato appartenenza, né radicamento. Le mani inattive, la postura chiusa, il volto piatto. In termini tecnici, si è trattato di un mismatch comunicativo, uno degli indicatori più rilevanti nella lettura comportamentale.
Non significa menzogna. Ma distanza tra ciò che si dice e ciò che si sente. Una disconnessione profonda tra il verbo e la carne. Nessun indicatore di menzogna quanto piuttosto di incertezza. Un’incertezza forse esercitata dalla pressione mediatica. Un uomo che, fino a prova contraria, non ha ucciso Chiara Poggi, ma che sicuramente si muove su un crinale sottile e insidioso: quello tra innocenza e reputazione. E quando il corpo resta immobile, quando non segue il racconto, quando si tira indietro anziché abitarlo, allora qualcosa merita di essere ascoltato meglio. Perché in certi casi, il linguaggio non verbale pesa più di mille impronte.