Sabato 20 Aprile 2024

"Scarsa manutenzione, così crollò il Morandi"

I periti puntano il dito contro Autostrade: "Il tirante era corroso, con interventi adeguati si poteva impedire il disastro e la morte di 43 persone"

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di Emanuela Rosi

"I cavi del Morandi sono corrosi" scriveva un dirigente di Aspi al collega che chiedeva di iniettare aria per risolvere il problema dell’umidità. Era il 25 giugno 2018, il ponte sul Polcevera ancora non si era sbriciolato e 43 persone pensavano di avere una lunga vita davanti. È "il fenomeno di corrosione" la causa scatenante del crollo e della strage conseguente, scrivono i periti nelle quasi 500 pagine della relazione al gip di Genova Angela Maria Nutini. Ma non solo. Scrivono che il deterioramento dei cavi cominciò pochi anni dopo l’inaugurazione, che vennero trascurate le indicazioni per risolverlo date dall’ingegner Riccardo Morandi, padre del ponte. E ancora che sulla pila crollata l’ultimo intervento di manutenzione, "sotto il profilo strutturale, risale al 1993 e che comunque, nella vita dell’opera, non sono stati eseguiti interventi di manutenzione che potessero arrestare il processo di degrado in atto eo di riparazionerestauro dei difetti presenti nelle estremità dei tiranti che, sulla sommità del tirante Sud-lato Genova della pila 9, erano particolarmente gravi".

Sono chiare le risposte dei quattro ingegneri, super esperti, ai quaranta quesiti posti dalla Procura sulla causa del crollo: mancanza e inadeguatezza dei controlli. "Se essi, laddove mancanti, fossero stati eseguiti e, laddove eseguiti, lo fossero stati correttamente, avrebbero interrotto la catena causale e l’evento non si sarebbe verificato".

Per i periti la tragedia che ha ucciso 43 persone e straziato Genova poteva essere evitata. Non è stato il destino a far crollare quel ponte che avrebbe dovuto essere curato appena nato ed è stato invece trascurato. Non è colpa di un fulmine, né della bobina di acciaio da 3,5 tonnellate (coil) che, secondo la difesa, cadendo avrebbe innescato il cedimento della struttura. "Le analisi svolte – scrivono – portano ad escludere con elevata probabilità l’ipotesi che il coil possa essere caduto dal tir mentre transitava a cavallo del giunto tra la pila 9 e il tampone 10". Lo hanno esaminato quel semirimorchio accartocciato sul greto del Polcevera e la bobina "sospetta" i quattro periti ma hanno concluso che "sono pienamente compatibili con l’ipotesi che siano precipitati entrambi insieme fino a giungere al suolo". Precipitati insieme a 43 vite, in un groviglio di cemento ammalorato e acciaio corroso. E quel progetto per rinforzare gli stralli, deciso un anno prima del crollo e mai eseguito, si legge nella relazione, "avrebbe elevato il crollo con elevata probabilità".

La perizia è una tappa fondamentale per il secondo incidente probatorio dell’inchiesta aperta dalla Procura di Genova: 70 indagati a cui vengono contestati reati molto gravi, dal disastro colposo, all’omicidio colposo plurimo e all’attentato alla sicurezza dei trasporti. Una perizia chiesta per far luce sulle cause del crollo dopo il primo incidente probatorio che già aveva evidenziato lo stato diffuso di corrosione dei cavi d’acciaio degli stralli, i tiranti che collegavano la piattaforma stradale alla sommità della pila 9 crollata.

Manutenzioni e controlli carenti, inadeguati, problemi annosi e tenuti nascosti, sono il filo rosso che collega la tragedia alle cinque inchieste che ha generato: dal crollo del Morandi alle gallerie autostradali pericolose, dalla barriere antirumore "incollate con il Vinavil" ai rapporti falsi sui viadotti fino alla tentata truffa sui pannelli fonoassorbenti. Un filo rosso per cucire la trama di una gestione che appare sempre più senza scrupoli, ricostruita in centinaia di pagine di intercettazioni, mail, messaggi, che è doloroso leggere, di cui è faticoso scrivere.