Giovedì 25 Aprile 2024

Scarponi cinesi sulla piccola Taiwan "Riunificazione anche con la forza"

La minaccia del presidente Xi al congresso del Pcc. Taipei replica: "Non rinunciamo a sovranità e democrazia"

di Cesare De Carlo

WASHINGTON

L’Ucraina cinese si chiama Taiwan. Eppure ieri, prima giornata del congresso del partito comunista cinese, il suo segretario generale che è anche il capo della Commissione militare centrale e dunque presidente della Repubblica Popolare, il 69 enne Xi Jinping, non ha fatto alcun riferimento esplicito alla scellerata invasione. Ne ha avuto molti invece per i fratelli separati da ricongiungere alla "madrepatria". Con le buone o con le cattive. E non a caso ha insistito molto sul potenziamento e ammodernamento dell’apparato militare. Xi parlava a Pechino davanti a quasi 2.300 delegati. Tutti rigorosamente con la maschera anti Covid. Tutti meno la prima fila della nomenklatura e naturalmente l’oratore. Ne sarebbe dovuto uscire consacrato il consenso per la politica di tolleranza zero.

MESSAGGIO A TAIWAN

Ma il passaggio più atteso era appunto quello su Taiwan. Cosa avrebbe detto l’uomo forte, il dittatore che si è assicurato un terzo mandato presidenziale emendando la Costituzione? Dice Alfred Wu, professore alla National University of Singapore: Xi ha mantenuto le previsioni, ha parlato poco di economia e molto di armamenti. Ha usato 89 volte il termine "sicurezza nazionale" rispetto alle 55 volte del 2017. E ha usato 48 volte il termine "riforme" rispetto alle 68 di cinque anni fa. Il che vuol dire che "l’impostazione dei prossimi cinque anni sarà imperniata sul potenziamento dell’apparato militare e meno sull’economia". La Cina comunista ha già il secondo più alto budget militare dopo gli Stati Uniti.

IL GIGANTE CONTRO

LA PICCOLA ISOLA

Ecco quel che ha detto a proposito della piccola isola al largo del continente asiatico (dove nel 1949 si rifugiò Chiang Kai-shek, il generale nazionalista sconfitto nella guerra civile dal comunista Mao Tse Tung): "Continueremo a perseguire una riunificazione pacifica. Ma non prometteremo mai di rinunciare all’uso della forza. E ci riserviamo le opzioni di adottare tutte le misure necessarie". Quali saranno le misure necessarie? Per il momento la conferma dell’isolamento di Taiwan, con cui Xi ha interrotto i contatti dal 2016, da quando cioè la piccola Cina democratica (meno di 24 milioni di abitanti contro gli 1, miliardi della Repubblica Popolare) è guidata dalla Lady di ferro, Tsai Ing-wen. Saranno presumibilmente intensificati i test missilistici, le intimidazioni aeree, le manovre navali. Che conclusioni trarne? Che anche Xi, come Putin, si lascerà tentare dalla prova di forza? Improbabile. Non è pronto. E lo sa. Ha sotto gli occhi il disastro dell’esercito russo. Anche il suo è equipaggiato con armi russe. In otto mesi di combattimenti i mezzi corazzati e gli aerei di Putin sono stati decimati dai carri e dai missili forniti dagli americani a Zelensky. Gli ucraini hanno fatto il tiro a segno.

CORSA AL RIARMO

Di qui la consapevolezza proclamata ieri di rafforzare e ammodernare l’equipaggiamento delle forze armate. "Questi sono tempi simili alla guerra". E quindi: produrre armi convenzionali e nucleari in grado di reggere il confronto con quelle americane, costruire altre portaerei in aggiunta alle due già progettate da opporre alle americane che incrociano davanti a Taiwan. Insomma "dobbiamo dare all’Esercito popolare di liberazione le migliori capacità strategiche". E alla svelta. Prioritario il riarmo anche rispetto a una congiuntura economica che di fatto segna stagnazione. Ma il barometro internazionale già sul brutto rischia di degenerare in tempesta. Un attacco a Taiwan determinerebbe quasi automaticamente la reazione americana in forza di un patto di mutua assistenza. E se Xi non è pronto per Taiwan ancora meno – per ora – è pronto a uno scontro diretto con gli Stati Uniti.

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