Scandalo liste d’attesa: anche due anni per un esame

Che cosa succede se dopo due anni di Covid, solo Covid, nient’altro che Covid, sollevi il tappeto della sanità?

Beh, succede quello che sempre succede quando usi il tappeto per nascondere le vergogne: se è polvere, ne trovi una montagna; se sono problemi, li trovi non solo irrisolti, ma addirittura aggravati.

E, infatti, è bastato prendere per un angolo il tappeto su cui poggia il servizio sanitario nazionale, dare una sbirciatina e ri-scoprire tutti i guai strutturali accantonati lì sotto durante la pandemia. Peggiorati, naturalmente.

Come certificano i tempi di attesa per un esame. Mammografia? Ripassi tra due anni. Ecografia? Gliela posso dare fra undici mesi. Tac? Se è fortunato, signore, se ne parla fra un anno. Problemi ortopedici? Siamo a maggio 2022… Deve portare pazienza fino a maggio 2023, mi spiace. Così, chi può, ricorre – pagando s’intende – alle strutture private. Chi non può, rinuncia. O meglio: è costretto a rinunciare. E, nel 2021, hanno rinunciato 11 italiani su 100. Ovvero, sono stati rimbalzati oltre 6 milioni di pazienti.

Lo denuncia il “Rapporto civico sulla salute. I diritti dei cittadini e il federalismo in sanità“, presentato ieri da Cittadinanzattiva, associazione di promozione sociale (Aps) che dal 1978 si batte "per la tutela dei diritti, la cura dei beni comuni, il sostegno alle persone in condizioni di debolezza".

Nel caso degli ospedali, i diritti sono negati. La cura dei beni comuni lascia a desiderare. Il sostegno alle persone in condizioni di debolezza non esiste proprio. E se vivi in certe regioni puoi ben dirti disperato: in Sardegna, per esempio, nel 2021, l’accesso alle cure è stato negato al 19,8% della popolazione, con un peggioramento del 6,6% rispetto al 2019.

Con tanti saluti all’articolo 32 della Costituzione: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti". Garantisce? Ma va là!