Venerdì 19 Aprile 2024

Scampò alla strage di famiglia Il figlio di fronte al papà killer "Perché hai voluto rovinarci?"

Nove mesi fa l’interior design uccise moglie e figlia: il 24enne fu aggredito, ma si salvò. Per la prima volta rivede suo padre in tribunale. E mostra la maglia con le foto di madre e sorella

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di Andrea Gianni

Alessandro Maja ha tenuto la testa bassa, all’apparenza impassibile, senza un movimento o una parola. Nicolò, a pochi metri di distanza nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arsizio, separato dal corridoio fra i banchi, ha guardato a lungo verso il padre, incrociando gli occhi dell’uomo che la notte fra il 3 e il 4 maggio scorso ha cercato di ucciderlo nella villetta di famiglia a Samarate, dopo aver massacrato la moglie Stefania Pivetta e la secondogenita Giulia, che oggi avrebbe compiuto 17 anni. Il 24enne, unico sopravvissuto e parte civile nel processo, ieri ha incontrato il padre per la prima volta, dopo la strage nel Varesotto che ha distrutto la sua vita. È ancora costretto su una sedia a rotelle, per le conseguenze dei colpi alla testa ricevuti durante il sonno, ma ha deciso di presentarsi in aula, accompagnato dal nonno materno, Giulio, dallo zio Mirko e dall’avvocato Stefano Bettinelli. Ha scelto di indossare una maglietta nera, con stampate le foto della madre e della sorella. "Volevo portarle con me – ha spiegato fuori dall’aula –, sono loro che mi danno la forza per andare avanti. Non è stato facile rivedere mio padre, ma adesso sono più tranquillo. L’ho guardato, non so se lui mi ha visto. Gli vorrei parlare – ha proseguito – vorrei chiedergli perché ha deciso di rovinare la nostra vita".

Poche parole, pronunciate con voce tranquilla, che nascondono un abisso di dolore e domande rimaste ancora senza una risposta. Nei giorni scorsi Alessandro Maja, detenuto nel carcere di Monza, ha indirizzato una nuova lettera al figlio. "Qui in carcere il tempo passa velocemente – scrive – ma senza di voi ho perso tutto". Racconta al figlio, riferendosi alla sua fede calcistica, di avere "un coinquilino che come te tifa il Palermo". Chiede informazioni sulle sue condizioni di salute. Avanza anche la richiesta di fargli avere un paio di occhiali, perché "senza non riesco a vedere bene". Nicolò ha preferito non rispondere, così come non aveva risposto alla stringate lettere che l’uomo aveva inviato in precedenza. Il 24enne, che sognava di diventare pilota d’aereo, sta combattendo passo dopo passo la sua battaglia, attraverso un lungo percorso di riabilitazione. "Ha espresso la volontà di vedere il padre in aula – spiega lo zio Mirko – e lo abbiamo accompagnato quando si è sentito pronto. Da Alessandro ci aspettavamo uno sguardo, una parola. Invece è rimasto impassibile, non ha neanche alzato gli occhi". Un’udienza breve, di circa mezz’ora, durante la quale la Corte d’Assise ha conferito allo psichiatra forense Marco Lagazzi l’incarico per la perizia disposta per valutare la capacità di intendere e di volere di Alessandro Maja quando ha sterminato la famiglia. Perizia che verrà depositata entro i prossimi 60 giorni, e discussa nell’udienza fissata per il 19 maggio. Due mesi per sondare il mistero di una strage ancora senza spiegazione. Il movente, infatti, resta oscuro. E le lettere dal carcere non hanno contribuito a fare chiarezza.

Maja, interior designer con studio a Milano, durante i primi interrogatori ha parlato di problemi economici legati alla sua attività, forse ingigantiti nella sua mente. I parenti avevano notato negli ultimi mesi un cambiamento in lui, i sintomi di una forte depressione, ma senza segnali apparenti di una violenza pronta a esplodere. Nessun comportamento aggressivo fino a quella notte di primavera, quando l’uomo ha deciso di far crollare il suo mondo e di sterminare la famiglia a colpi di trapano e martello dopo una serata trascorsa a guardare la televisione.