Giovedì 25 Aprile 2024

Sbandata a destra Copia le parole del Duce Il manager di Meloni costretto a dimettersi

Anastasio guidava 3-I Spa, bufera dopo una comunicazione interna. Nel documento parafrasava Mussolini sul delitto Matteotti. Lo storico Cardini: "Quel giorno ebbe origine la dittatura"

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di Franco

Cardini

Nel 1925 Mussolini inaugurò in Italia un sistema di governo di nuovo tipo, che divenne modello nel ventennio successivo per altri Paesi e movimenti politici. "Dittatura", si dice. Ma la dittatura, istituzione politica che risaliva alla Roma repubblicana e aveva qualche precedente nell’antica Grecia, era altra cosa. Era l’esercizio legittimo di poteri eccezionali per un breve periodo ritenuto d’emergenza per un paese e un popolo: scaduto questo breve periodo, che in genere durava qualche mese, l’operato del dittatore veniva sottoposto ad attenta revisione pubblica col pericolo di gravi sanzioni se nel corso di esso si fosse commesso qualche crimine.

La regola ebbe due vistose eccezioni. La "dittatura perpetua" assegnata dal senato romano a Giulio Cesare e il consolato a vita della repubblica francese che il generale Bonaparte trasformò più tardi in "impero" conferendo a tale termine il valore di un’istituzione monarchica. Ma tali due modelli stanno soltanto in filigrana, e da lungi, dietro l’esperimento mussoliniano che ebbe caratteri originali e innovativi eppure non fu una mossa preordinata me costituì una risposta senza dubbio cinica e coraggiosa a uno stato di fatto determinato non già dalla sua azione di governo, bensì dal madornale errore della sua opposizione. Tale errore ha una parola sola: Aventino, vale a dire astensione dalla presenza nella sede della massima istituzione legislativa del Regno d’Italia da parte di parlamentari che, regolarmente eletti sia pure durante un’elezione per molti versi contestata e contestabile, avrebbero avuto il dovere di restare al loro posto e di presidiare la libertà comune. Non lo fecero: preferirono mettere il governo di Mussolini dinanzi a uno stato di illegittimità sostanziale (ma non formale) facendogli il vuoto intorno nell’illusione che ciò ne avrebbe decretato automaticamente la caduta per dimissioni. Tutto ciò non avvenne in quanto il massimo potere esecutivo dello stato era in mano al sovrano, il quale non approvava l’assenteismo aventiniano. Eppure le premesse affinché esso riuscisse sul piano etico e politico c’erano.

L’eco del delitto Matteotti e lo scalpore nel Paese erano stati enormi. Nello stesso partito fascista, fino ai livelli dell’alta dirigenza, si erano diffusi il disorientamento, lo sconforto, la cattiva coscienza, la vergogna. Mussolini stesso aveva passato mesi difficilissimi: si è detto – a quanto sembra però senza effettive prove – che avesse sul serio pensato al suicidio. Si risollevò con un atto di cinismo e di Realpolitik.

Si tenga presente che, nella gelida sala parlamentare di quel gelido gennaio 1925, egli parlava soltanto a parlamentari che avevano comunque deciso di restare al suo fianco e che, con la loro sola presenza, garantivano la legittimità formale della seduta e degli atti di governo che ne sarebbero scaturiti. Il discorso fu breve. Mussolini non provò nemmeno a rivendicare per l’ennesima volta l’estraneità ai fatti delittuosi e al ruolo di mandante del delitto Matteotti. L’aveva fatto più volte, forse era vero che mai aveva esplicitamente chiesto la soppressione del deputato socialista ed è quasi certo che non avesse né voluto né immaginato che si arrivasse a tanto. Com’è vero che quel che temeva da parte di Matteotti e dei documenti che questi custodiva e ch’egli intendeva sottrargli non era a causa di una questione politica, bensì di un affaire alquanto sporco riguardante transazioni petrolifere.

Mussolini non pronunziò l’ennesima perorazione della sua innocenza. Ma si guardò bene anche dal confessarsi colpevole. Con un gesto che non poteva non essere in quel tempo e in quel momento apprezzato, in quanto capo non solo del Pnf, bensì "del fascismo", si addossò ogni responsabilità dell’accaduto: il fascismo era stato – dichiarò – non una splendida passione della parte migliore della gioventù italiana (parole sue), bensì un’associazione a delinquere, allora fuori la corda, il cappio e la corda. Altrimenti, il fascismo sarebbe andato per la sua strada. Il che significava il governo di un partito unico con tutte le conseguenze del caso, allora imprevedibili. Mussolini, però, sapeva di poter contare sull’appoggio del sovrano: ed è questa, semmai, l’unica pagina da riscrivere o da approfondire su quel che già sappiamo a proposito di quel giorno fatale.