Sarkò condannato: l’incubo carcere è vicino

Tre anni all’ex presidente riconosciuto colpevole di corruzione. È la prima volta nella storia francese. Carla Bruni: "Quanto accanimento"

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di Giovanni Serafini

Per la prima volta in Francia un presidente della Repubblica è stato condannato per corruzione: il tribunale di Parigi gli ha inflitto 3 anni di carcere, di cui uno "ferme", senza condizionale. Una decisione storica. Un terremoto nella vita politica di un uomo, Nicolas Sarkozy, che si preparava a correre per le presidenziali 2022 e si trova adesso brutalmente stoppato da una donna, il giudice Christine Mée. Per non finire in carcere, o in alternativa per non essere costretto all’umiliazione del braccialetto elettronico, Sarkozy ha fatto appello. Ci sarà un nuovo processo che ripartirà da zero: ma nulla lascia pensare, visti i pessimi rapporti esistenti fra l’ex presidente e la magistratura, che la sentenza sarà più clemente.

Erano le 14 quando Christine Mée, 50 anni, per molti anni magistrato a Marsiglia, specialista in criminalità organizzata e delinquenza finanziaria, ha fatto il suo ingresso in aula. Gli imputati – oltre a Sarkozy c’erano il suo avvocato Thierry Herzog e l’ex magistrato Gilbert Azibert – avevano attraversato da mezz’ora le forche caudine dei fotografi. Si erano mostrati tranquilli, convinti di uscire indenni. La seduta è stata breve: la presidente ha definito "particolarmente gravi i fatti in quanto commessi da un ex presidente della Repubblica, che avrebbe dovuto essere il garante della giustizia e che invece si è servito del suo status e delle sue relazioni per gratificare un magistrato in cambio di un favore personale". Quindi, in un silenzio glaciale, la lettura del verdetto: 3 anni di prigione, di cui uno senza condizionale, per ciascuno degli imputati. Una mazzata. Sarkozy, il guerriero di mille battaglie, l’uomo per cui ogni meeting era un combattimento, ha sentito forse per la prima volta, a 66 anni, il peso della disfatta. I testimoni hanno raccontato che ad ogni parola del giudice Mée le sue spalle si abbassavano: "Abbandonato sulla sedia, la mascherina sul viso, guardava fisso in terra senza espressione". Si era dichiarato da sempre innocente. Era convinto di uscire con un’assoluzione. Aveva detto in un’intervista: "Non vedo l’ora di essere lavato da questa infamia". Evitati i giornalisti all’uscita, si è appartato col fratello Guillaume. Quindi si è recato con l’avvocato Herzog nel suo ufficio in rue de Miromesnil, in cui erano riuniti i suoi fedelissimi, per decidere le azioni da intraprendere. L’unico conforto della giornata è venuto da un tweet di sua moglie Carla Bruni, due righe scandite quasi con ritmo musicale: "Quanto accanimento insensato amore mio la battaglia continua e la verità verrà alla luce".

La storia è degna di un film di spionaggio. Siamo nel 2014; i giudici che indagano sui presunti finanziamenti libici a Sarkozy per la campagna elettorale del 2007 scoprono che il presidente utilizza una linea telefonica criptata per parlare col suo avvocato Herzog. Il cellulare è intestato a un certo Paul Bismuth. Che cos’hanno di tanto segreto da dirsi? Mettendo sotto ascolto le conversazioni gli inquirenti vengono a sapere che il presidente ("la Sfinge") voleva ottenere dal giudice Azibert informazioni su un processo in cui era coinvolto, relativo all’affare Bettencourt. In cambio avrebbe fatto avere ad Azibert un posto importante a Monaco (cosa però che poi non avvenne). Molti esponenti della destra esprimono rabbia e indignazione per una sentenza – dicono – che è frutto dell’accanimento della magistratura di sinistra.

Le grane comunque non sono finite per l’ex presidente: il 17 marzo prossimo Sarkò sarà alle prese con un altro processo pericoloso, quello per l’affare Pygmalion che riguarda le spese per la campagna presidenziale 2012. C’è il rischio di un’altra condanna. È da ricordare che prima di Sarkozy venne condannato nel 2011 (per appropriazione indebita) un altro presidente, Jacques Chirac: ma la pena non venne mai applicata a causa delle sue cattive condizioni di salute e della sua inattività pubblica.