"Santità scusi, una chiamata per lei". Anche il Papa è ostaggio del cellulare

All’udienza generale un collaboratore invita Bergoglio a rispondere. Nessuno sfugge alla dittatura telefonica

Fuori programma al termine dell’udienza generale: il Papa riceve una telefonata (Ansa)

Fuori programma al termine dell’udienza generale: il Papa riceve una telefonata (Ansa)

La scena è insolita e non poteva non suscitare la curiosità dei fedeli presenti. Aula Paolo VI, fine dell’udienza generale, papa Francesco ha concluso la catechesi e, prima di rientrare nella sua residenza, passa a salutare i fedeli delle prime file. Ma prima di scendere dal palco, un collaboratore gli passa un cellulare: i pellegrini presenti hanno osservato il pontefice – apparentemente sorpreso dal fuori programma – per alcuni secondi parlare al telefono, con un breve gesticolio del braccio, e poi attaccare. Non è dato sapere, ovviamente, a cosa fosse dovuto questo fuori programma e chi fosse all’altro capo del telefono. L’unica certezza è che sebbene in pieno agosto, e Bergoglio sia ancora convalescente da un’operazione di inizio luglio, la sua agenda è già tornata ad essere quella di un leader che governa una Chiesa cattolica mondiale con mille impegni, problemi... e qualche urgenza. Alla fine dell’udienza, Bergoglio ha anche salutato il regista Dallas Jenkins e l’attore Jonathan Roumie, che gli hanno presentato le prime due serie The Chosen – sulla vita di Gesù e dei discepoli – lanciate negli Stati Uniti dalla piattaforma di streaming VidAngel, con 230 milioni di visualizzazioni.

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No scusa ma ero fuori col cane e l’avevo lasciato a casa. No, mi dispiace, non l’avevo sentito, ero a far la spesa, ce l’avevo in fondo alla borsa. No scusa, sì sono al lavoro ma ero sull’altra linea. No scusa sono in telelavoro ma ero fuori col cane e poi stavo facendo anche la spesa e poi la grandine, l’apocalisse, le cavallette. Pronto?

La chiamata, o la videochiamata, è sempre in agguato. Anche se non sei (più) social-dipendente, il cellulare resta acceso ogni ora, giorno e notte, 7 giorni su 7, ovunque: può giungere una richiesta dai tuoi cari o la notizia che ti migliora la vita (mai), nel frattempo arrivano telefonate da sconosciuti e finti conosciuti, capi, colleghi, call center, nei lavorativi e nei festivi, vacanze e non vacanze, nessuno che chieda permesso, scusi, disturbo? Rispondi e basta, pure se sei il Papa.

Prima che si concludesse con il Requiem sul dominio maligno dell’intelligenza artificiale, 2001 Odissea nello spazio aveva fatto danzare davanti ai nostri occhi, sul grande schermo, il valzer dei sogni più entusiasmanti della tecnologia del futuro. Era il 1968, la sola rappresentazione della videotelefonata accendeva nel cervello ottimistiche opportunità senza limiti: che bello sarebbe potersi guardare mentre ci si telefona, chissà se nel 2001 sarà davvero possibile farlo, e persino durante un normale viaggio di diporto intergalattico.

Che bello sarebbe. Poi – qualche anno dopo rispetto alle previsioni di Kubrick e del designer di scena ex collaboratore della Nasa Harry Lange – abbiamo scoperto che bello non è. Non così tanto, non come lo avevamo sognato. La pratica della videochiamata, esasperata dalla necessità sotto pandemia, da occasione di vicinanza sentimentale si è trasformata nel suo simulacro, un succedaneo relazionale che logorato velocemente da uso e abuso va sempre più svuotandosi di emotività, e sempre più riempiendosi dell’imitazione dell’emotività. Videochiamanti e videochiamati, per lavoro e per diletto, zoom dopo zoom ci ritroviamo nell’astratta tele-rappresentazione di noi stessi, come se l’isolamento da Covid avesse avuto tra le regole di base anche il dottorato in straniamento brechtiano.

Videochiamarsi nelle riunioni di lavoro è come la Dad: sembra di partecipare ma l’intervento, il commento, la libera o spontanea espressione di un’opinione saranno sempre mediati dal tasto apri microfonochiudi microfono, e premere quel tasto è un atto non spontaneo, e nel nanosecondo che precede quell’atto s’insinua il dubbio (sarà il momento giusto? sto per dire una scemata? sarò ascoltata?), e nel dubbio si insinua l’ansia, e per placarla alla fine si sta zitti. Presenti in video ma vuoti di sé.

Ci si videochiama per far gli auguri alla nipotina che compie un anno, e i genitori la piazzano davanti al telefonino con la torta e invitano l’infante: dì ciao alla zia, falle un sorriso, ora spegniamo la candelina. Dall’altra parte del cellulare tu dici alla bimba "ciao bella", soffi sullo schermo e lei ovviamente non parla né soffia, chissà solo se almeno dentro di sé effettivamente sorride già conscia che è capitata in un universo dalla drammaturgia talmente distopica che Peppa Pig sembra Thomas Bernhard.

Abituati ormai ad andare avanti di messaggi (ai quali hai forse ancora la pseudo-libertà di rispondere come e quando cavolo ti pare), lo squillo pulsante sul cellulare può rivelarsi insopportabile. "La reazione della persona dall’altro lato della cornetta è immediata e abbiamo sempre un rischio di interpretarla in modo sbagliato o inadeguato, leggendo in questo la conferma delle nostre paure", spiega Gabriele Raimondi, presidente dell’Ordine degli Psicologi dell’Emilia-Romagna parlando dell’ansia da telefono che, messa in relazione al Social anxiety disorder (SAD), gli scienziati Usa stanno studiando in questa sua esplosione post Covid. Sì, pronto, sono qui. Posso spegnere il telefono?