Gorbaciov morto: Sanremo, Napoli e la pizza. Il leader che fu anche un’icona pop

Fu ospite all’Ariston ma la sua canzone preferita era "Dicitencello vuje". Lo spot del 1997 per un colosso Usa

Gorbaciov con il segretario del Pci, Alessandro Natta

Gorbaciov con il segretario del Pci, Alessandro Natta

Quanti gradi di separazione ci sono tra Roberto Murolo e Mikhail Gorbaciov? Meno di quello che si possa pensare. Il segreto sta in “Dicitencello vuje“, un classico della canzone napoletana che Gorbaciov giurò di aver dedicato (e cantato) a quella che sarebbe diventata la sua Raissa nel giorno del loro primo incontro. Mikhail e Raissa, coppia forte, mediatica prima che quest’aggettivo prendesse campo e ne abusassimo come facciamo ora. Ventitré anni fa Gorbaciov in uno dei suoi tanti viaggi in Italia, con destinazione Sanremo, inteso come festival della canzone, riuscì perfino a intonarne qualche verso (grazie a Vincenzo Mollica) a favore delle telecamere della Rai.

Perestroijka e canzonette. In quello che Eric Hobsbawm definì “Secolo breve“, quel Novecento che si aprì con il totalitarismo, culminò con due guerre, e finì con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Gorbaciov è stato in grado di saper gestire il medium, meglio di altri. Per arrivare anche dall’altra parte del mondo, l’Occidente, quello che un tempo (e ora è tornato tale) era considerato un nemico.

Il rapporto con la televisione, anche nel momento più difficile, il fallito golpe e il suo volto emaciato e invecchiato che sbuca di fronte alle telecamere. E poi le foto opportunity con Ronald Reagan, sorrisi (veri, forse) a beneficio di telecamere. C’è una manciata di immagini che raccontano la storia di Gorbaciov e il processo irreversibile che impresse alla Russia e tutte sono legate a un aspetto più pop di un Paese che stava abbandonando l’ortodossia del socialismo reale, così come fu plastica la foto del primo McDonald’s aperto in Piazza Rossa (1990). I tempi stavano per cambiare e Gorbaciov ha cavalcato l’onda, mai mettendosi di lato. Sempre di fronte.

Quando l’Urss era diventata ormai solo uno sbiadito ricordo, roba per nostalgici, pronti comunque a rinfocolarsi quasi ciclicamente, lui ha girato il mondo, raccontando la Perestrojka. Nel 1997 finì addirittura per girare uno spot per l’americana Pizza Hut.

Un fenomeno politico, ma anche un leader culturale di massa. Che avrebbe trovato il suo sfogo nei festival, anche quello delle canzonette sanremesi. Nel 1999 quando Fabio Fazio lo chiamò a salire sul palco, lui fece un breve discorso. Poi il giorno dopo ammise che aveva apprezzato il Notre Dame di Riccardo Cocciante e confessò: "Canto meglio, quando bevo". E quando gli chiesero che cosa ci faceva sul palco di Sanremo il presidente che aveva chiuso un’era storico-politica del Novecento, lui disse: "Esiste una linea rossa che lega la mia vita. Quello che ho fatto l’ho fatto sempre da pioniere, come quando ero presidente dell’Unione Sovietica e così è stato anche salire su quel palco".

Anni dopo sarà il regista Werner Herzog a incontrarlo per diversi giorni e tirarne fuori un documentario, con la risposta finale di Gorbaciov al regista che suona come un epitaffio. Herzog gli chiede, quasi prevedendo i tempi foschi all’orizzonte (2018): "Ci saranno ancora leader che cercheranno di conciliare potenza e diritto?". E lui risponde solamente: "Ci abbiamo provato".