San Patrignano contro la serie tv "Racconto parziale: ci dissociamo"

La comunità di recupero si scaglia contro il documentario ’SanPa’ uscito da pochi giorni su Netflix "Si basa solo sulle testimonianze dei detrattori". La replica: il nostro obiettivo è sollecitare domande

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di Carlo Andrea Barnabè

Angelo e demone, non conosce fine la guerra sulle colline di Rimini. Sarebbe un titolo perfetto per una serie, se non fosse che ci ha già pensato Netflix. Si chiama SanPa, parla di Vincenzo Muccioli, ed è disponibile dal 30 dicembre per chiunque, da almeno quattro decenni, abbia voglia di gettarsi nella mischia. Dividersi, oggi come allora, tra innocentisti e colpevolisti. Tra destra e sinistra. Tra chi di San Patrignano ha fatto un tempio pagano e chi invece ha tentato in tutti i modi di farla a pezzi.

Inevitabile, viste le premesse, il riaccendersi dell’antico furore sepolto sotto la cenere dalla morte di Muccioli. Bastano poche ore dalla messa in onda delle cinque puntate della docu-serie, per ritrovarsi ancora lì, negli anni Novanta, davanti ai cancelli della comunità di recupero; politici, intellettuali, magistrati e giornalisti, schierati con o contro Vincenzo. Santo o martire? Padre o padrone?

Non una parola, alla vigilia, da San Patrignano. Ma sui titoli di coda arriva netta la ‘scomunica’ dei vertici della comunità. In un comunicato diffuso ieri "San Patrignano si dissocia completamente dalla docu-serie in onda su Netflix". La tregua è rotta. "Il racconto è sommario e parziale – si legge – con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali concluse da sentenze favorevoli alla comunità stessa". Da Sanpa fanno sapere di sentirsi traditi: "Per trasparenza abbiamo ospitato la regista della serie che è stata libera di parlare con chiunque all’interno della comunità. Le è stato fornito un elenco di persone che conoscono bene storia passata e presente, elenco totalmente disatteso". Della lista si salva solo Antonio Boschini, il dottore di Sanpa, l’unico a comparire.

Ricostruzione parziale, come accusano i vertici di Sanpa, oppure un meticoloso lavoro di ricerca, stando alle anticipazioni degli autori e della regista, Cosima Spender? Che dice: "Siamo saliti sulle montagne russe di questa vicenda. Unico obiettivo, sollecitare altre domande". Un progetto che si affida a "25 testimonianze, 180 ore di interviste con immagini tratte da 51 archivi differenti". E il contributo di Andrea Muccioli, da anni lontano dalla comunità fondata dal padre. Un padre che, a 25 anni dalla morte, non trova pace.

Il più amato dagli italiani costretto a subire l’onta dell’arresto. Ascesa e caduta. Una trama perfetta. "Siamo preoccupati per gli effetti destabilizzanti che potrebbero ricadere sul lavoro di recupero – dicono da San Patrignano –. Le spettacolarizzazioni, presenti in un prodotto costruito per scopi di intrattenimento commerciale, potrebbero colpire le persone e le famiglie che affrontano il problema della tossicodipendenza". Luci sì, ma sinistre. E di questa pubblicità, fanno sapere da Sanpa, non ce n’era bisogno.

Il ‘processo delle catene’, poi la morte di Roberto Maranzano, infine la morte di Vincenzo. Che chiude l’ultimo capitolo e sigilla i misteri. Riesumati a fine dicembre dalla docu-serie di Netflix, che ripercorre le tappe a ritroso: dalle prime roulotte comparse sulle colline di Rimini all’Onu che celebra "la più grande comunità di recupero del mondo". Morto Muccioli inizia la normalizzazione di Sanpa.

"Continueremo ad aiutare gratuitamente quanti avranno bisogno di noi", è il finale scelto dalla comunità per la storia del romagnolo grande e grosso che voleva vincere la guerra contro la droga. Ma per chi non ha smesso di darsi battaglia, l’ultima puntata è ancora da scrivere.