"Saman è stata uccisa dallo zio" Il fratello conferma tutto ai giudici

Reggio Emilia, il minorenne pachistano difende i genitori: vuole raggiungerli. Ieri ha tentato ancora di fuggire

di Alessandra Codeluppi

e Daniele Petrone

NOVELLARA (Reggio Emilia)

"A uccidere Saman è stato lo zio". Una frase che fino a ieri era una ‘semplice’ confessione agli inquirenti, ma che ora è una prova cristallizzata. Lo ha ribadito a giudice e magistrato, nell’incidente probatorio di ieri mattina in tribunale a Reggio Emilia, il fratellino della 18enne d’origine pachistana scomparsa nel nulla da oltre un mese e mezzo da Novellara, nel Reggiano. E che si presume essere stata ammazzata dalla famiglia. Un ‘delitto d’onore’ ordinato e consumato per il suo rifiuto a un matrimonio combinato in patria col cugino, denunciando i genitori. E per il suo amore puro verso il musulmano e pachistano ‘sbagliato’ inviso alla famiglia.

Il minorenne ieri si è sottoposto per due ore all’audizione protetta, nascosto dietro un paravento in aula. Ha risposto a tutte le domande – con grande "tranquillità e preparazione", come ha rivelato un avvocato presente. Ha confermato le accuse allo zio Danish Hasnain, 33 anni, considerato l’esecutore materiale dell’omicidio premeditato. Una testimonianza ritenuta attendibile. È ora l’elemento chiave per eccellenza perché potenzialmente può essere la prova che inchioda i cinque indagati che devono rispondere di omicidio premeditato in concorso, sequestro di persona e occultamento di cadavere. Lo zio Danish, il cugino Nomanulhaq Nomanulhaq, 35 anni, entrambi ricercati in Europa, si sono "sporcati le mani" assieme all’altro cugino Ikram Ijaz, l’unico arrestato nella vicenda dopo aver tentato di fuggire in Spagna. I due cugini, sempre con lo zio, avrebbero scavato la buca per nascondere il corpo che ancora non si trova. E infine i genitori: il padre Shabbar Abbas, 46 anni, la madre Nazia Shaheen, 47 anni, rifugiati in Pakistan il 1° maggio – come hanno dimostrato liste d’imbarco e telecamere della Malpensa – all’indomani del giorno del presunto delitto. Quei genitori da cui il fratellino vorrebbe tornare, tanto che ieri pomeriggio, dopo l’interrogatorio, il ragazzo avrebbe tentato nuovamente di fuggire dalla comunità protetta in cui è stato sistemato ma è stato ritrovato in breve tempo dai carabinieri.

Il coraggio del 16enne lascia viva almeno la possibilità di ottenere giustizia, una misera consolazione, per Saman. Nonostante le pressioni subite dal ‘clan Abbas’. Che dopo gli ingannevoli sms a Saman per farla tornare a casa dalla comunità in cui era stata collocata in protezione per aver denunciato le nozze forzate e dopo le minacce alla famiglia del fidanzato di Saman con una rappresaglia in Pakistan, hanno provato a tappare la bocca al ragazzino. Prima lo zio Danish ha provato a portarlo via con sé, ma il 10 maggio la polizia di Imperia lo ha fermato e portato in una località segreta. Poi le zie, da Inghilterra e Francia, gli hanno intimato di tacere. Una rete di protezione impressionante, dall’Europa al Pakistan. Dove si sono rintanati i genitori, contando su una rogatoria internazionale che tarda ad arrivare, sulla mentalità connivente dei concittadini e su parenti poliziotti (uno di questi, il fratello di Shabbar, avrebbe partecipato all’intimidazione contro la famiglia del fidanzato di Saman) venerati come star nei villaggi pachistani. La trasmissione Mediaset "Diritto e Rovescio" ha inviato una troupe a Charanwala, zona rurale di 4.000 abitanti, nel distretto di Gujranwala, a due ore da Lahore (dove sono atterrati i genitori) nel Punjab. Al portone verde di casa Abbas ha risposto una donna: "Nessuno è tornato qui. Non sappiamo nulla".