di Alessandro Farruggia Matteo Salvini pianta i paletti. È quasi ora di cena quando il segretario della Lega esce in piazza Montecitorio. "È stata una domenica di lavoro utile. Sto raccogliendo nomi di uomini e donne di assoluto spessore – dice – e li faremo nelle prossime ore. Saranno due, tre, quattro". "Il centrodestra ha il diritto e il dovere di fare queste proposte – sottolinea – senza che nessuno debba mettere dei no preventivi e ideologici senza sapere neppure di chi stiamo parlando. Mi pare che da Letta siano venuti dei no pregiudiziali, e mi dispiace. Io spero che da sinistra non arrivino solo no, perché l’Italia merita una scelta veloce e condivisa". Si dirà, schermaglie tattiche. Ma Salvini ieri ha messo due massi – nelle prossime ore si vedrà se d’argilla o di granito – sulla strada che sale al Colle. Il primo, una mossa strategica, è per chiarire che Pier Ferdinando Casini non è un nome di parte. "Lavoriamo per un nome di centrodestra" ha detto il leader della Lega, e ai cronisti che gli hanno ventilato la candidatura dell’ex presidente della Camera, ha risposto netto: "Casini? Non è un nome di centrodestra". Sembra uno stop serio, ma in realtà Salvini non ha affatto detto "non lo voteremo mai", ma solo che non è un candidato di centrodestra. Il che significa che, se i candidati di centrodestra evaporeranno (oggi il centrodestra va verso la scheda bianca), sul suo nome si potrebbe trovare una convergenza. Anche alla luce di questo il nome di Casini, a ieri, resta con percentuali intatte se non in salita. Più rilevante è il “no“ a far salire Mario Draghi al Colle. "Ribadisco – ha detto Salvini – che togliere Draghi da presidente del Consiglio in questo momento sarebbe pericoloso per l’Italia. C’è una congiuntura ...
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