Salvini: non diamo armi all’Ucraina Tutti gli (ex) amici di Putin in Italia

Il leghista si smarca dal governo. Ma le ambiguità, dai Cinque stelle al centrosinistra, non mancano

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di Ettore Maria Colombo

"All’Europa chiedo non di distribuire armi letali ai confini con la Russia, ma di perseguire la via del Santo Padre: confronto, dialogo, diplomazia, sanzioni". Matteo Salvini ci è ricascato. La coazione putiniana a ripetere del leader della Lega ritorna fuori, alla prova del nove (anzi, del fuoco). Il leader della Lega apre così una crepa nella linea del governo, fornire aiuti militari all’Ucraina. "Preferisco parlare di corridoi umanitari e non voglio che la risposta dell’Italia e dell’Europa sia che distribuisca armi letali. Non in mio nome" dice Salvini, riecheggiando l’antico slogan dei pacifisti anti-yankee not in my name. Lo sfottò di Carlo Calenda, leader di Azione, a Salvini è immediato e urticante: "Cosa dobbiamo inviare secondo Salvini delle fionde? Dei fucili a coriandoli? Delle felpe?".

Ma chi sono stati, o sono, i “putiniani“ italiani? L’amico di Putin per eccellenza, e per decenni, è stato Silvio Berlusconi. L’amicizia tra i due leader è antica e solida. Ebbe origine nel 2002, quando il Cavaliere fu ospite nella dacia di Putin sul Mar Nero e lì nacque l’iniziativa di Pratica di Mare che immaginava una "nuova era" di collaborazione tra la Nato e la Russia. Di recente, Putin ha fatto a Berlusconi i suoi calorosi auguri per i suoi 85 anni. Berlusconi, oggi, tace, imbarazzato, ma freme: vorrebbe aiutare di nuovo il processo di pace.

Poi, appunto, c’è Salvini. Un vecchio post social del 2015 lo ritrae al Parlamento Ue, con una t-shirt su cui campeggia il volto del leader russo. Poi c’è un altro post, sempre del 2015, in cui afferma che "mezzo Putin vale due Mattarella". L’ultima perla è del 2019. Durante un comizio definisce Putin "uno dei migliori politici sulla faccia della Terra". Anche Giorgia Meloni – oggi fiera sostenitrice delle ragioni dell’Occidente e della resistenza del popolo ucraino – inneggiava così alla quarta rielezione del presidente russo: "La volontà del popolo russo appare inequivocabile".

Anche nel centrosinistra si segnalano sviste clamorose. L’Anpi, che pure ieri è scesa in piazza contro la guerra, il giorno prima dell’invasione condannava "il continuo allargamento della Nato ad Est, vissuto legittimamente da Mosca come una crescente minaccia" e intimava (a Biden, non a Putin…) di "cessare le sue vergognose ingerenze in Ucraina".

I 5 Stelle hanno oscillato tra posizioni neutraliste e posizioni filo-putiniane. Qui si è distinto Manlio Di Stefano, oggi sottosegretario agli Esteri, con un florilegio di espressioni come "Ucraina stato fantoccio degli Usa", "colpo di stato dell’Occidente" (quello di Zelensky nel 2014), "Russia circondata dalla Nato", ecc. Di Manlio, oggi, non si è pentito di quelle frasi, si limita a dire che "è cambiato il contesto". E se molti 5Stelle sono scettici su sanzioni troppo dure, Alessandro Di Battista, arci-sicuro che "Putin non vuole la guerra", continua a condannare la Nato. Solo Giulia Grillo ha il coraggio di ammettere che "come M5s eravamo anti-Nato, solo governare ci ha fatto cambiare idea". Chi idea non la cambia è il senatore Gianluigi Paragone, ex M5s, oggi Italexit: "Putin non è un dittatore, Biden è arrogante e la Nato fa lo sceriffo del mondo".