Martedì 23 Aprile 2024

Salvini ammette la (sua) sconfitta "I candidati? Scelti troppo tardi"

Il mea culpa del leader: "Faremo tesoro degli errori". Malumori tra i governisti: Matteo, ascoltaci

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di Antonella Coppari

Salvini ci mette la faccia. O almeno, lo assicura. È il primo a presentarsi di fronte alle telecamere: quando si tratta di effetti scenici, il leader della Lega è sempre puntuale: "Abbiamo perso per demeriti nostri. Abbiamo scelto i candidati migliori, ma lo abbiamo fatto troppo tardi". Solo che la sua è una critica di facciata, annacquata da considerazioni sull’astensionismo ("una sconfitta per tutti") e di fatto, lui non sembra intenzionato a cambiare nulla anche se apre a "non civici" in vista del voto l’anno prossimo: "Faremo tesoro degli errori commessi. L’anno prossimo si vota in 25 città, ora chiamo Giorgia e Silvio per incontrarci subito dopo i ballottaggi e scegliere chi mettere in campo il prima possibile". Pausa. Poi rilancia: "Come Lega siamo la prima forza quasi ovunque".

Non sono parole che possono tranquillizzare le paturnie crescenti nel partito del Nord, quello che ha come punti di riferimento i governatori e il numero due leghista, Giorgetti (il quale, nelle ore in cui il leader commentava il voto, incontrava a Roma l’astro nascente della Cdu, il governatore della Sassonia Michael Kretschmer). Far risalire ogni guaio alla mancanza di tempo, significa non voler cambiare nulla della linea fallimentare fin qui adottata: "Inseguire la Meloni ha pagato sì, ma solo lei", masticano amaro da queste parti. Anche quando il leader difende il governo Draghi, il tono pare quello degli ultimi mesi: dichiarazioni di lealtà, salvo poi assumere posizioni opposte con il risultato di scontentare tutto l’elettorato. "È irresponsabile usare questo voto per abbattere l’esecutivo: se Pd e M5s non si trovano a proprio agio, si facciano pure da parte. Sia ben chiaro, però: l’aumento delle tasse con la riforma del catasto è l’ultima cosa da fare". I governisti si sbracciano: "Matteo ci devi ascoltare di più". Per ora, la sua attenzione è puntata altrove: sui quei "50 sindaci in più che la Lega ha rispetto a ieri". E sui ballottaggi di Torino e Roma: una vittoria attenuerebbe la sconfitta. "La partita è tutta da giocare", assicura Salvini.

Persino il successo in Calabria per il partito del Nord è una spina nel fianco: "Possibile che l’unica stella che ci mettiamo sul petto sta nel Mezzogiorno?", dicono. In effetti a Milano – dove il candidato Bernardo è stato surclassato dal sindaco Sala – la Lega torna alle cifre dell’epoca pre-Capitano, mentre Fd’I quadruplica i voti delle ultime comunali. "Una sconfitta tutta di Salvini – perché Giorgetti e Berlusconi avrebbero voluto candidare Lupi", sussurra qualcuno. Stesso discorso per Bologna dove la vittoria di Lepore (PD) non è mai stata messa in discussione, e la Meloni ha superato il Carroccio. Buio pesto a Napoli – la lista leghista è stata esclusa dal voto – e pure a Torino va meno bene del previsto: sarà ballottaggio, ma a partire favorito è il candidato democratico Lo Russo, non Damilano.

Tutto questo renderebbe sulla carta indispensabile una seria riflessione sul percorso della Lega e su quello del centrodestra. Sia ben chiaro: Salvini non è in discussione, non ancora almeno. "È troppo forte. I suoi competitor o presunti tali – Giorgetti, Zaia, Fedriga – come direbbe il Cavaliere non hanno il quid", sottolinea un leghista di lungo corso. In questo quadro, è evidente che il Capitano dovrebbe imboccare una strada invece di cercare di tenere il piede in entrambe le staffe: governista nei fatti, barricadero a parole per competere con la Meloni.

Sul piano della coalizione la diagnosi è toccato farla ad Enrico Letta: spietata, acuminata, lucida. "Non c’è più il federatore, Silvio Berlusconi, non c’è più il centrodestra". In effetti il problema dell’alleanza è proprio questo: ognuno pensa a sé. E né dalle parole di Salvini né da quelle della Meloni sembra che questa figura possa uscire: parlano di coalizione, ma per contendersene la leadership. Per giocarsela nei prossimi mesi alle elezioni politiche ("l’obiettivo è vincere assieme nel 2023", avverte Salvini) sarebbe necessario un percorso congressuale: poco importa se ufficiale o solo di facciata. Malgrado le promessse, tutti sono convinti che non si farà niente: "Matteo ha detto che celebrerà in primavera i congressi provinciali, ma non credo che li farà tanto presto. Figuriamoci, quello federale", taglia corto un ex ministro leghista. Capita spesso che le sconfitte non siano solo una "scoppola", come la definisce Lupi, ma siano anche una sveglia. Almeno per ora, però, non pare questa la circostanza.