Mercoledì 24 Aprile 2024

Salvini alza la tensione sul governo Ma l’obiettivo è solo negoziare

La Lega pretende il voto sui suoi emendamenti alla riforma Cartabia. Guerra di trincea che punta a logorare

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di Antonella Coppari

All’indomani del voto, il governo ha due problemi: Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Nessuno dei due ne minaccia davvero la sopravvivenza, entrambi ne mettono a repentaglio efficienza e rapidità. Basti pensare a ciò che è successo ieri al Senato sulla riforma Cartabia sulla giustizia: il ministro D’Incà, per conto del premier Draghi, ha insistito perché fossero ritirati tutti gli emendamenti sulla giustizia. La Lega non ne ha voluto sapere: non solo ha mantenuto i suoi, ha pure chiesto di votare in segreto quello sulla custodia cautelare, di fatto una replica del quesito referendario. Un mossa apertamente ostile, in cui molti vedono un tentativo di creare resistenze per uscire dalla maggioranza. Da due giorni il segretario del Pd Enrico Letta martella: "L’ostruzionismo leghista mina le basi di convivenza del governo. Si metta la fiducia". Non è detto che sia cosi: i senatori del Carroccio non speravano nell’approvazione dell’emendamento, che è infatti stato bocciato con ampio scarto.

La mossa sembra piuttosto voler indicare la strada che Salvini si appresta a battere nei prossimi mesi: una contrattazione permanente, ma senza colpi di testa. Lui stesso si è premurato di gettare acqua sulla fiamma accesa in mattinata ("Da Draghi attendo risposte entro l’estate, ci sono cose non trattabili") avvertendo che "non c’è nessun ultimatum". Negoziato sì, rottura preferibilmente no. Già: ma negoziato su che? Intanto, sull’autonomia rafforzata delle regioni del Nord. La ministra Gelmini sta preparando il Ddl, spera di portarlo in consiglio dei ministri prima dell’estate. Ieri, la collega Carfagna, rispondendo a un question time, ha tentato di fissare dei paletti a difesa del Sud. Immediata l’alzata di scudi dei ministri della Lega con un comunicato congiunto: "Basta con la contrapposizione tra Nord e Sud: non si possono disattendere i referendum". Ancor più netti, i capigruppo Romeo e Molinari: "L’unico insulto è ignorare la volontà di milioni di elettori".

I leghisti assicurano di aver voluto solo chiarire che non sono solidali con il governo sempre e comunque, se del caso tirano fuori le unghie. La sensazione evidente è che il Nord sia tornato d’autorità al centro dell’agenda leghista. Del resto è proprio il Nord l’epicentro della disfatta leghista: i governatori fremono, Zaia e Fedriga fanno filtrare l’irritazione per essere tirati in ballo da Salvini ("ora quei dirigenti e militanti, compresi Zaia e Fedriga, che credevano in Draghi e in questo governo mi chiedono di rifletterci bene"). Militanti e politici locali sono sul piede di guerra: "La Lega in Veneto non si riconosce più nella politica del segretario", riassume l’europarlamentare Gianantonio Da Re. Insomma, d’ora in poi Salvini dovrà difendere gli interesse dei ceti produttivi settentrionali.

La situazione di Conte non è diversa: la sentenza di Napoli ha sgombrato il campo dall’ipotesi di una fuoriuscita dell’avvocato del popolo da M5s per dar vita a un suo progetto. Ma per restituire smalto a un Movimento spento, Conte non può puntare solo sulla riorganizzazione territoriale: dovrà pure lui puntare i piedi, fare il sindacalista. Anche a lui, però, far saltare il tavolo costerebbe troppo: scissione nel partito, rottura senza appello con il Pd. La prova della verità sia per il leghista sia per il ’finalmente’ capo dei 5stelle si avrà molto presto: il 21 giugno la risoluzione di maggioranza sull’Ucraina approvata dal governo spenderà molte parole in favore della pace e della trattativa, ma senza modificare la politica di Draghi. Di armi non si parlerà e il silenzio equivale a confermare l’assenso all’invio. Per quanto riguarda Salvini, la minaccia di darsi tempo fino a settembre sembra escludere incidenti sul tema. Pure Conte non pare intenzionato a presentare una risoluzione che specifichi il no all’invio delle armi. Dunque, pressioni sì, turbolenza tanta ma al riparo della maggioranza.