Covid, saltati 400mila interventi in un anno. I chirurghi: gli altri effetti del virus

Rinviate anche 550mila prestazioni urgenti. Mentre le liste d’attesa si sono allungate a dismisura

Roma, un operatorio sanitario in un reparto Covid (Ansa)

Roma, un operatorio sanitario in un reparto Covid (Ansa)

C’è un disastro che la pandemia ha provocato, e che dovrebbe convincere tanti indecisi a vaccinarsi: gli ospedali al collasso. L’anno scorso, per dare la precedenza alla gestione dei Covid-19, sono stati rinviati 400mila interventi cosiddetti di elezione, buona parte delle sale operatorie riconvertite per dare ossigeno a migliaia di ricoverati con la polmonite. Medici, anestesisti e infermieri sono stati precettati in blocco per incrementare le postazioni in terapia intensiva. Le liste di attesa per un’ernia o una cisti da rimuovere si sono allungate all’inverosimile, come certe code in mezzo al traffico. Ci vorranno mesi per recuperare.

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"Siamo ancora lontani dalla soluzione – ha dichiarato Francesco Basile, presidente della Società italiana di chirurgia, primario universitario nel Policlinico di Catania –, il ritorno alla normalità passa per forza di cose dalle vaccinazioni. Più persone saranno immunizzate, più si allontanerà il rischio di dover fare marcia indietro, in autunno, con chiusure e ridimensionamenti. Per recuperare bisogna nondimeno incrementare gli organici del personale sanitario, che oggi come oggi è insufficiente. Solo la patologia oncologica ha avuto meno rallentamenti, ma anche qui vediamo gli effetti della pandemia, arrivano alla nostra osservazione tumori allo stadio più avanzato, spesso inoperabili, perché è venuta meno la diagnosi precoce nel territorio, tanti di questi nostri pazienti disertavano i controlli, perché avevano paura di venire a contagiarsi in ospedale".

Le cifre della débacle sono impressionanti: un milione e 300mila ricoveri in meno nell’arco di 12 mesi in Italia. Le degenze di chirurgia hanno registrato una contrazione vistosa, l’80% degli appuntamenti in calendario sono stati differiti e riprogrammati. I dati sciorinati nei bollettini dell’Istituto superiore di sanità hanno fatto perdere di vista il dramma di migliaia di persone rimaste indietro, e che dovevano ricorrere al bisturi per i motivi più disparati. Ernie inguinali e ombelicali, calcoli della colecisti, laparocele, diverticoli del sigma, reflusso gastroesofageo, cisti addominali sono solo alcuni dei tanti esempi di patologie rimandate alle calende greche.

"Nel marzo scorso abbiamo sollevato il problema, e il sottosegretario Pierpaolo Sileri è stato di parola – ha dichiarato Micaela Piccoli, direttore della Scuola nazionale Acoi di chirurgia laparoscopica, e socio fondatore del gruppo Donne leader in sanità – ha istituito un tavolo permanente per la chirurgia al ministero. Lo smaltimento delle liste di attesa è il primo problema all’ordine del giorno, una sessione del congresso nazionale presieduto dal professor Basile affronta appunto le strategie per colmare il divario. Le liste d’attesa per la chirurgia generale devono essere affrontate senza incertezze, tutta la patologia benigna in questi mesi è stata abbandonata per fare fronte alle emergenze, ai Covid, ai tumori. Ne hanno sofferto tante patologie che maligne magari non sono, ma che meritano ugualmente la nostra attenzione. L’80 per cento della chirurgia benigna è stata di fatto disattesa". Le stesse difficoltà, aggiungiamo noi, le ritroviamo in ortopedia, in cardiologia, in ginecologia e in oftalmologia. In questi mesi le strutture della sanità privata e gli ospedali accreditati, anche quelli delle cooperative e delle compagnie assicurative, hanno contribuito a evitare il tracollo del sistema.

"Nel pubblico ci sono spazi inutilizzati – conclude Piccoli –, bisogna investire sul personale, sul capitale umano, sulle tecnologie. Finora sono stati messi cerotti, concedendo pochi soldi. Ma qui bisogna fare delle revisioni strutturali: il problema delle liste d’attesa in sanità c’era anche prima del Covid, ma nessuno ne parlava".