Sì dei partiti, ma non senza condizioni Cinque stelle divisi e malumore leghista

Maggioranza larga per il governo, ma otto grillini sono assenti e quindici votano contro: saranno espulsi dal Movimento . Al Carroccio non piace l’insistenza sui valori dell’Europa. Acque agitate dentro il Pd: "Faremo la nostra parte"

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di Antonella Coppari

Più dei voti espressi nella notte conta il grande applauso finale all’intervento di Draghi. Quasi l’intero emiciclo si alza per il tributo, con l’eccezione dei grillini. Parte poi si adegua alla maggioranza, alcuni no: persino Vito Crimi, che ha lavorato per tenere insieme il Movimento, resta incollato allo scranno, come gli esponenti di Fd’I, l’unico gruppo che si è schierato fin dall’inizio all’opposizione. È la fotografia della giornata che vede il Senato accordare la fiducia con 262 voti a favore, 2 astensioni e 40 contrari. Tra questi, ci sono 15 grillini cui bisogna aggiungere 8 assenti (2 giustificati) e l’astensione della Drago. Numeri che riassumono bene i dubbi e i tormenti dei pentastellati: il discorso di Super Mario non li ha tranquillizzati. I dissidenti sono più del previsto, sufficienti a costituire un gruppo (saranno espulsi dal Movimento) il malessere però emerge da tutti gli interventi: il "sì" all’ex presidente della Bce è accompagnato da mille "ma", come ammette il capogruppo Licheri. "Sarà una fiducia condizionata: le romperemo le scatole". Valuteremo "provvedimento per provvedimento", incalza Toninelli. Chiosa Bottici: "Lei rappresenta tutto ciò che ho contrastato". Ovvero: mercati e finanza.

La punta dell’iceberg; il largo consenso al governo – il record però resta a Monti con 281 sì raccolti nel 2011 – non cela il ’manierismo’ del resto della maggioranza. Le fonti di disagio sono diverse, ma confluiscono in uno stato d’animo comune. Iv, per esempio, dovrebbe festeggiare ma non può farlo perché alle vittorie tattiche di Renzi corrisponde una sconfitta strategica: l’asse della coalizione contiana ha retto. "Non servono coordinamenti: c’è il premier – la butta sul pratico il senatore di Rignano –. Il cambio con Conte è la cosa più utile che ho fatto per il paese". Zingaretti annuncia: "Faremo la nostra parte". Sa di dover affrontare un dibattito interno più lacerante di quel che sarebbe stato senza il governo Draghi. Nel partito c’è chi vede questa soluzione se non proprio come un bene, qualcosa di molto vicino: "Ci attende una missione importante: la messa in sicurezza del Paese. La maggioranza parli con un’unica voce", dichiara il capogruppo Pd, Marcucci. Ma nel resto della squadra giallorossa c’è chi, come 5stelle e LeU, la considera un insuccesso. "Ci è costato molto questo passo", ammette De Petris (LeU). Forse il partito più felice è Forza Italia: "Ha rafforzato le regioni del nostro impegno", esulta Berlusconi. Rivendica il "forte contributo" alla nascita del governo la presidente dei senatori azzurri, Bernini, che domanda però la variante Draghi: "Lei – dice rivolta all’ex capo della Bce – deve garantire la discontinuità con l’esecutivo Conte".

Insieme ai 5stelle il partito più ’inguaiato’ è il Carroccio, contento e scontento allo stesso tempo. I due o tre colpi duri che Draghi ha assestato alla politica leghista su Europa, sviluppo sostenibile e fisco non possono piacere a Salvini. Eppure, fa prevalere la soddisfazione per lo sdoganamento: "Noi ci siamo convintamente: l’Italia viene prima di tutto. Vogliamo l’Europa del lavoro, non dell’austerità. Apprezziamo il cambio di passo di cui ha parlato sull’immigrazione. Siamo al fianco di un governo che taglia le tasse, apre i cantieri dà sostegno vero alle imprese, fa un serio piano vaccini", spiega il Matteo milanese.

È probabile che Draghi riesca a tenere insieme le spinte contrapposte perché nessuno può permettersi un fallimento. Il rischio, però, è che le tensioni nel governo precipitino sul parlamento. Non a caso il leader della Lega e quello del Pd Salvini e Zingaretti stanno provando a tessere una rete di protezione con l’accordo di evitare le questioni più divisive. Ma ce n’è una che non potrà essere evitata: la legge elettorale.