Martedì 23 Aprile 2024

Roma riprende il suo potere. Ma va riformata

Non è azzardato sostenere che il Piano Marshall funzionò come volano della ricostruzione post-bellica perché non c’erano le regioni e perché, anzi, c’era una amministrazione centrale dello Stato che, nonostante le rovine ancora fumanti della guerra, era fatta da uomini di rigore e d’azione che si assumevano la responsabilità della firma. Allo stesso modo è del tutto evidente che il Recovery Plan, per fare da leva efficace della ripresa post-pandemia, deve avere una robusta regia centralizzata a livello romano e, come premessa, una rapida riforma-riconversione della Pubblica amministrazione in chiave sostanzialista, orientata ai risultati e alla spesa e non alle procedure.

La polemica quotidiana di Enrico Letta, Giuseppe Provenzano & co. nei confronti di Matteo Salvini rischia di essere la cortina fumogena a uso mediatico che impedisce di affrontare e, semmai, tentare di sciogliere i nodi veri che possono far naufragare l’intera operazione di rilancio del Paese. Ebbene, in primo piano c’è proprio il ruolo e la funzione decisivi che le regole del Recovery riassegnano alla Capitale e alle amministrazioni centrali dello Stato: volenti o nolenti, almeno nei prossimi cinque, progetti, investimenti e miliardi passeranno innanzitutto dai ministeri. E, dunque, che i governatori lo vogliano o no, che la seconda capitale, Milano, lo voglia o no, sarà principalmente Roma ad avere una nuova centralità nevralgica nella mappa del potere.

E, allora, le domande diventano: la città, con la sua logistica e i suoi servizi, è ancora in grado di svolgere questa missione? I candidati sindaci e i partiti che li sostengono sono consapevoli, nei loro programmi, che il prossimo primo cittadino di Roma avrà un rilevante compito in più da svolgere?

A loro volta, i grand commis che guidano le Pubbliche amministrazioni centrali hanno contezza che dalla loro capacità decisionale dipenderà la riuscita della missione nazionale contenuta del Recovery?

Le domande sono retoriche. Di sicuro sono ben coscienti della posta in gioco il premier Mario Draghi e il ministro Renato Brunetta, ma è lecito dubitare che direttori generali e alti dirigenti pubblici si rendano davvero conto della responsabilità storica loro affidata. Temiamo che, a meno di rivoluzioni radicali, valga la mesta conclusione di un insigne conoscitore della materia, Sabino Cassese: "Queste potenti forze della conservazione, in particolare quelle pubbliche, … rifuggono dai compiti generali, sono interessate agli interventi decisione per decisione, in sostanza a cogestire, in funzione del self-aggrandizement (l’autocelebrazione)".