Martedì 16 Aprile 2024

Il re della maratona a -50 gradi. "Rischio l’amputazione ma tornerò"

Roberto Zanda ha un congelamento di quarto grado a mani e piedi ed è ricoverato ad Aosta

Il runner Roberto Zanda (Ansa)

Il runner Roberto Zanda (Ansa)

Aosta, 20 febbraio 2018 - Il freddo, quello vero. Voleva conoscerlo. Si era preparato dentro una cella frigorifera. Ma non è la stessa cosa. Roberto Zanda, runner estremo di deserti e montagne, a 60 anni si è dovuto arrendere ai meno 50 gradi del Canada selvaggio, ultimo di tre sopravvissuti alla Yukon Arctic Ultra, la solitaria nella neve di 480 km no stop. Il freddo si è preso i piedi e le mani di questo ex paracadutista cagliaritano che tutti chiamano Massiccione. Congelamento di quarto grado, il più severo. All’équipe specializzata in medicina di montagna di Guido Giardini, che nei giorni scorsi all’ospedale Umberto Parini di Aosta ha curato l’alpinista francese Elisabeth Revol dopo la tragedia del Nanga Parbat, ieri ha consegnato due stivaletti bianchi e due guantoni chiedendo in cambio un miracolo. Non c’è molto margine e lo sa. 

E’ necessario aspettare. Due settimane almeno fra il letto e la sedia a rotelle. Senza rammarico, senza paura. È scampato a una peritonite fulminante mentre era solo nel deserto egiziano. Si è fatto 900 chilometri da un versante all’altro dei Pirenei con i piedi bucati. Andrà bene anche questa volta, comunque vada. Non lo dice per fare lo spaccone: «Niente mi impedirà di continuare a essere un maratoneta. Con o senza piedi, sono contento di vivere». Scrive su Facebook: «La sofferenza aiuta a vivere meglio». Non è masochismo: «Diciamo un modo di mettere in prospettiva le cose. La vita è talmente bella e tutto quello che sta succedendo ne fa parte. Le cose si fanno perché è il momento di farle. E io questo lo rifarei». 

Alex Poole, il primario del General Hospital di Whitehouse che ha consegnato la prima diagnosi, si porta nel cuore il suo ottimismo. La lunga notte di Massiccione perduto fra il giaccio e le allucinazioni dopo 300 chilometri di gara ancora commuove i canadesi. Ci sono troppe domande logiche che non funzionano in quel delirio. La più banale: non si trattava della corsa all’oro ma di una gara organizzata. Come è potuto succedere che si siano persi un runner? E perché non lanciare il segnale di sos? «Ho lasciato il Gps sulla slitta – ammette Zanda –. Non vedevo indicazioni e sono andato avanti e indietro per un chilometro almeno tre volte. L’ultima sono finito dentro una foresta con la neve alta fino all’ombelico. E quello che è successo lo sapete». Diciassette ore a meno 50. I lupi, gli orsi, piedi e mani nude. L’ipotermia e il rischio di morire assiderato. «Mi sono attaccato agli affetti e alla fede. Ho fatto un patto con Dio: prenditi mani e piedi ma lasciami la vita. Noi sardi siamo tosti. Ho pensato per un attimo di lasciarmi andare, poi ho sentito una specie di tepore e ho deciso di rialzarmi». 

Nessun rimpianto. «È una gara bellissima. Al quinto check point eravamo rimasti in tre sparpagliati in un raggio di 20 miglia. Mi domando solo perché le due motoslitte dello staff non abbiano controllato la pista con più attenzione». Meno conciliante è la compagna Giovanna Caria, che in Canada ha contattato il consolato italiano chiedendo l’intervento del ministero: «Non è pensabile che una competizione, per quanto estrema, finisca con l’amputazione di mani e piedi dell’atleta. Pare che a uno dei check point Roberto non sia stato visitato. Abbiamo saputo che aveva già sintomi di congelamento. Lo hanno fatto riscaldare e ripartire senza approfondire il quadro clinico. Dopo 10 miglia non è più riuscito ad andare avanti. Dall’organizzazione dicono che non riusciva a trovare il tracciato perché aveva le allucinazioni dovute all’ipotermia. Allora è ovvio che andava fermato».  

Roberto è stato sicuro di morire come è sicuro di continuare a gareggiare: «In una parte del piede il sangue non arriva e temo che quella potrebbe essere amputata. Ma la cosa più importante è la vita». Su Fb è lui a fare coraggio agli amici: «Non saranno quattro protesi il problema, chi se ne frega. Ho talmente tante cose da fare. Ci sono atleti che continuano con quelle. Spero di trovare due piedi nuovi».