Venerdì 19 Aprile 2024

"Ritorno a casa Ferrari (da ospite) Qui il battito del cuore è come il mio"

Montezemolo alla festa per i 50 anni del circuito di Fiorano: nel 2014 ho subìto un grave torto, ma la passione è la stessa

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di Leo

Turrini

L’assassino torna sempre sul luogo del delitto, si dice. Ma nel nostro caso a tornare, dopo otto anni di volontario esilio, è stato l’autore di un capolavoro. Perché Fiorano celebrava il mezzo secolo del suo storico circuito, la pista di Niki Lauda e Gilles Villeneuve, di Michael Schumacher e Charles Leclerc: e allora Luca Cordero di Montezemolo ha infranto il giuramento del 2014. Trovando, ad accoglierlo in piazza l’altra sera, l’intero paese. "A me non manca la Formula Uno, non mancano le auto belle come opere d’arte – sospira l’avvocato –. A me mancano le persone, gli operai, gli impiegati, i meccanici, gli ingegneri…".

È una ferita mai chiusa.

"Guardi, non voglio essere patetico, ho la mia età e va bene. Ma nel 2014 ho subito un torto e non dimentico. Però sono tornato per le cose belle, mica per rivangare quelle brutte".

Al cuore non si comanda.

"Eh, ci sono storie che non finiscono mai! Cinquanta anni fa io mi ero appena laureato, quando Enzo Ferrari mi offrì il ruolo di direttore sportivo. Mi immaginavo avvocato d’affari in America, mi ritrovai ai box di Fiorano".

Fu uno choc?

"Anche. Sa, io credo non si possa comprendere l’unicità della Ferrari senza conoscere la gente che ci lavora. Mi diceva Mauro Forghieri, il grande direttore tecnico del Cavallino, che chi lavora in questa fabbrica non ci lavora e basta. La ama! È qualcosa di diverso dalla semplice relazione tra impiego e salario, tra fatica e stipendio".

Sarà ancora così?

"Da parte di chi è un dipendente, sicuramente. È quello che io chiamo senso di appartenenza. Sa cosa mi disse una volta Papa Ratzinger?".

Sentiamo.

"Ero andato a trovarlo con Michael Schumacher. Benedetto XVI mi fece un discorso che suonava così: è una buona cosa che un campione tedesco vinca grazie alla tecnologia italiana. Voleva dire che l’emilianissima Ferrari ha permesso di superare tanti luoghi comuni".

In fondo anche da una automobile possiamo imparare a volerci bene.

"È quello che raccontavo all’inizio. La mia Ferrari era figlia delle intuizioni del Fondatore, aggiornate in nome della innovazione. Senza mai perdere il legame con il territorio. Da presidente ho vinto tanti mondiali, ne ho anche persi parecchi all’ultima gara. Ma sono orgoglioso di due nomi".

Due nomi?

"Sì, sì. Ho chiamato ‘Fiorano’ un nostro modello e un altro l’ho chiamato ‘Modena’. E c’è una Ferrari dedicata a Sergio Scaglietti, il geniale carrozziere che a furia di martellate disegnava i primi gioielli del Drake. Mi sembrava opportuno rendere omaggio ai nostri luoghi, alle nostre figure storiche".

L’identità come bonus.

"Sono tornato dopo otto anni per rivedere le facce, per riascoltare il battito di un cuore che è come il mio".

Avvocato Montezemolo, mi sa che lei non guarirà mai.

"Dice?".