Concorsi pubblici, in Italia sono tutto un quiz: "Rispondi alla domanda in 2 minuti"

L’ultimo caso è il bando per assumere gli insegnanti alle medie e superiori: 50 quesiti in meno di due ore. I test a crocette finiscono nel mirino. Ma perché il nostro Paese ha importato il modello anglosassone?

Uno dei recenti concorsi per la selezione di docenti nelle scuole secondarie

Uno dei recenti concorsi per la selezione di docenti nelle scuole secondarie

Gennaro Carotenuto, professore di Storia contemporanea all’Università di Macerata, ha commentato così, con felice sintesi da navigato utente Twitter, il caso del concorso per insegnanti fatto a colpi di quiz a risposta chiusa e rivelatosi un fallimento: "L’ultima volta che ho presieduto una commissione d’esame per insegnanti feci portare ad ognuno il proprio computer collegato in rete e preparare così una lezione. Posso mai nel XXI secolo valutare un docente con le crocette su un quiz sulla battaglia della Meloria?".

Già, che connessione può esserci fra una selezione che premia chi individua le risposte giuste tramite crocette (a proposito: la battaglia della Meloria fu combattuta il 6 agosto 1284 fra la flotta della Repubblica di Genova e quella della Repubblica marinara di Pisa, vedi Wikipedia) e il successivo impegno di docente in classe, di fronte agli studenti, con lezioni da costruire e il dialogo da tessere con i ragazzi? Il tweet di Carotenuto contiene già la risposta: nessuna connessione. L’unico modo per accertare, durante un esame, la capacità di stare in classe è chiedere al candidato di simulare una lezione, offrendo gli strumenti necessari: computer, rete, anche Wikipedia (si può dunque dimenticare data e dettagli della battaglia della Meloria).

Eppure anche l’ultimo concorso per l’accesso di 32mila insegnanti nelle scuole medie e superiori si è svolto con i quiz a crocette (tre ipotesi di risposta fra cui scegliere quella giusta), con esiti pressoché disastrosi, sia perché circa l’80% degli aspiranti docenti è stato bocciato, sia perché i mancati professori hanno lamentato proprio il punto messo a fuoco da Carotenuto: che c’entra il nozionismo tipico dei quiz con il mestiere di insegnante e anche con gli studi universitari portati a compimento? È seguita polemica, col ministro attuale che ha riconosciuto il fallimento – l’80% di bocciati è un fallimento in ogni caso, o per il concorso in quanto tale, o per l’università che non sembra in grado di diplomare aspiranti docenti all’altezza – attribuendo però la responsabilità ai suoi predecessori, mentre la ministra precedente ha rimandato al mittente le accuse, rivendicando i propri tentativi di innovazione.

Fatto sta che la storia dei quiz nei concorsi, ma anche nei test di ammissione all’università, nelle prove di valutazione Invalsi e così via, è una pratica diffusa da molto tempo, come testimonia, fra molte altre cose, la sollevazione di titolati professori di materie umanistiche – "basta con il nozionismo", dicevano – che ci fu una decina di anni fa, senza risultato alcuno. Il sistema dei quiz è figlio di una storia che risale molto indietro nel tempo e rimanda sia a precise esigenze pratiche (organizzare concorsi per numeri abnormi di persone, così grandi da rendere impossibile il modello della simulazione di una lezione) sia per il progetto, tenacemente perseguito, di rendere la scuola più efficiente, più meritocratica, in grado di produrre risultati misurabili, insomma l’idea della scuola e dell’università gestite con criteri di efficienza e qualità manageriale.

È la partita culturale e politica che si è giocata negli anni scorsi, spesso evocando il tema della modernizzazione, col paradosso che al momento delle prove tutto il portato della modernità (computer, smartphone, rete, social) ampiamente utilizzato nella vita e nell’insegnamento di tutti i giorni, dev’essere tenuto fuori della porta, per consentire valutazioni rapide, meccaniche e numeriche a colpi di crocette. Il ministro ha promesso cambiamenti, ma lo status quo è l’esito di una sedimentazione di lungo periodo, con forti radici ideologiche e politiche che non sarà facile recidere.