Giovedì 25 Aprile 2024

Rispettiamo il diritto di stare in piedi

Gabriele

Canè

Secondo la Treccani, inginocchiarsi, è “piegare uno o entrambi i ginocchi, per lo più in atto di devozione, sottomissione o simili”. Infatti, lo si faceva davanti a Dio, o davanti al padrone. Da noi, con il padrone ci parlano i sindacati, dunque dovrebbe rimanere solo Dio, ed eventualmente l’amata, come cantava Gianni Morandi. Che il mondo abbia incominciato a inginocchiarsi dopo la brutale uccisione del giovane afro americano, è un gesto senza dubbio nobile: l’omaggio a una vittima innocente, invocando una sorta di perdono per i sentimenti razzisti che alimentano tanti episodi di violenza.

Altrettanto nobile, però, è nutrire gli stessi sentimenti senza per questo compiere un “atto di sottomissione o devozione”. A chi? A cosa? All’universalmente riconosciuto come dovuto e giusto? E’ questo il trend di moda che domenica scorsa ha sfidato il pilota della Ferrari Leclerc restando in piedi mentre tanti suoi colleghi si inginocchiavano. E ha fatto bene. Come hanno fatto bene gli altri. Ovvio. Basta che non si stabilisca che solo gli altri sono i buoni, gli antirazzisti, e lui il kattivo. Cosa che in tanti casi succede, eccome. Come ad esempio quando non si partecipa, per mille motivi seri e legittimi, a una manifestazione definita “democratica”. Non partecipi? Sei fascista. Vecchia storia, vecchio film che torna sempre sugli schermi del politicamente corretto. Allora, omaggio a chi muore. In piedi, seduti, sdraiati. Anche in ginocchio. Ma rispettando chi non lo fa.