Riparare lo smartphone è un diritto

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Lorenzo

Guadagnucci

Ridurre, riutilizzare, riciclare: sono le tre regole da seguire per una decente gestione dei rifiuti, ma anche le parole d’ordine di una possibile economia a basso impatto ambientale. Possiamo aggiungere un’altra erre: riparare. In apparenza è un’attitudine lodevole da cittadini virtuosi, nella realtà una pratica impossibile per la maggior parte dei prodotti in commercio. Perciò è nata in Italia un’associazione – chiamata Circola.re, con evidente riferimento a una nuova forma di economia – che rivendica il diritto a riparare gli oggetti elettronici: pc, tablet smartphone. Sarà una dura battaglia. Nel caso degli elettrodomestici, dopo anni di mobilitazioni è arrivata una direttiva europea che impone alle aziende di rendere riparabili i propri prodotti, con pezzi di ricambio adeguati e possibilità di accesso effettivo, dentro gli apparecchi, ai pezzi da sostituire.

Ora tocca all’elettronica, che ha un costo ambientale altissimo, sia in termini di inquinamento (due miliardi di CO2 nel mondo secondo Circola.re), sia di estrazione di materie prime rare. Insomma, è ora di smetterla coi cellulari e i pc ancora funzionanti che finiscono fra i rifiuti. Dev’essere possibile donarli, ripararli e va creato – fissando opportuni standard – un mercato dei prodotti "ricondizionati". La filosofia della riparazione è un modo di vedere il mondo: l’opposto della rottamazione e della nociva astuzia dell’obsolescenza programmata.