Giovedì 18 Aprile 2024

Rinasce il paese distrutto dal sisma Un referendum su dove ricostruirlo

A Pescara del Tronto (Ascoli) saranno gli abitanti a scegliere il luogo. Tra i ricordi di morte e i legami affettivi

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di Flavio Nardini

ARQUATA DEL TRONTO (Ascoli)

Ora che le macerie non ci sono più, Pescara del Tronto vista dall’alto sembra una grande cava. Una miniera dove sono intrappolati i ricordi di chi, in quella maledetta notte tra il 23 e il 24 agosto 2016, perse la vita. Le vittime, solo nella piccola frazione del Comune di Arquata, furono 52, simbolo di un terremoto che colpì duramente il centro Italia e i cui effetti sono visibili ancora oggi, a distanza di quasi cinque anni. Niente più case o attività: lì dove c’erano un circolo ricreativo, una macelleria e una parrocchia resta il nulla. Ma è un nulla fisico, non spirituale: perché il ricordo delle vittime potrebbe essere decisivo nel processo di ricostruzione ora che si sta scegliendo dove far rinascere Pescara del Tronto.

Anni di attesa, poi il cambio di passo: ed ecco che entro venerdì i proprietari delle case che si trovavano nella frazione in provincia di Ascoli Piceno potranno esprimere la loro preferenza tra le sei ipotesi individuate dai tecnici del Comune e dallo studio di architettura Mate Boeri, dell’archistar internazionale Stefano Boeri. L’eredità dei morti entra in scena prepotentemente ora, perché c’è chi non vorrebbe vedere ricostruita Pescara del Tronto nel suo luogo originario proprio a causa dei tristi ricordi. È il caso di Patrizia Marano, presidente dell’associazione ‘Io sto con Pescara del Tronto’ che nel sisma ha perso in una sola notte il marito, il figlio, i genitori e il cognato: "Mi auguro che le nuove abitazioni vengano costruite altrove – dice – perché vi assicuro che farebbe davvero male tornare lì. È impossibile anche solo camminare su quelle pietre che ancora rappresentano sofferenza".

In ballo ci sono sei scenari molto diversi tra loro: dall’ex parte alta del paese fino a un addio radicale al luogo originario, con delocalizzazioni che arrivano a cinque chilometri di distanza in linea d’aria, ma anche l’ipotesi di far rinascere la frazione in due zone distanti e molto slegate l’una dall’altra. Sul sito del Comune c’è un modulo da stampare e compilare con indicata la soluzione prescelta. L’ultima parola, in ogni caso, spetterà al consiglio comunale.

E qui torna in ballo l’eredità dei morti. Perché il sindaco simbolo del terremoto, Aleandro Petrucci, non potrà mai vedere le sue terre ricostruite, ucciso da una malattia lo scorso 23 dicembre.

Da lì ha raccolto il testimone il giovane Michele Franchi, che dopo mesi di riunioni con le varie associazioni ha deciso di premere il piede sull’acceleratore: piccoli sì, ma con voglia di fare. "Non sappiamo ancora se la frazione verrà delocalizzata completamente o solo in parte, l’unica cosa certa è che lo faremo in sicurezza ascoltando la volontà dei cittadini – assicura Franchi –. Finalmente stiamo iniziando a pianificare concretamente la ricostruzione".

I residenti sono divisi, non ci sono soltanto no all’idea di tornare nel luogo originario, anzi. Molti vorrebbero rivivere le loro terre, per non spezzare il legame affettivo. Prima del sisma ci vivevano poco più di cento anime. Ma un borgo semi deserto di inverno si trasformava d’estate, con l’arrivo delle famiglie soprattutto romane che lì avevano seconde case ereditate da genitori e nonni. Il terremoto ha colpito proprio in quelle notti di rimpatriate, strappando vite e storie e risparmiandone altre, come quelle dei tanti ragazzi che in quei tragici minuti erano alla tradizionale festa di Spelonga, frazione poco distante, e proprio per questa coincidenza riuscirono a salvarsi. Ragazzi che ora sognano un futuro per Pescara del Tronto, da scegliere insieme a chi ha un legame con quel piccolo fazzoletto di terra. Senza dimenticare l’eredità dei morti: tutti sanno che bisogna ricostruire anche per loro.