Rimpatri flop, via solo due clandestini su cento

In Italia leggi soft, pochi centri d’identificazione, consolati stranieri non collaborativi: così i terroristi come Brahim ne approfittano

Nizza, il luogo dell'attentato all'esterno della cattedrale di Notre-Dame (Ansa)

Nizza, il luogo dell'attentato all'esterno della cattedrale di Notre-Dame (Ansa)

Brahim Aoussaoui, il killer di Nizza, è arrivato in Italia il 20 settembre e il successivo 9 ottobre è stato trasferito in un Centro per migranti a Bari, dopo la quarantena obbligatoria per tutti coloro che sbarcano. Nei confronti di Aoussaoui era stato emesso un decreto di espulsione del prefetto di Bari accompagnato da un ordine del questore ad abbandonare l’Italia entro sette giorni. A pochi giorni dall’attentato, appare subito evidente il buco nero dentro cui integralisti e terroristi sguazzano e fanno i loro comodi: i rimpatri.

Per capire perché i clandestini sbarcati possono sottrarsi al foglio di via, bisogna fare un piccolo passo indietro, senza però andare troppo lontano rischiando di perderci nei numeri. Secondo il ‘cruscotto del Viminale’ dal 1 gennaio al 30 ottobre sono arrivati sulle coste italiane 27.190 migranti (11.195 tunisini), rispetto ai 9.649 del 2019. Da luglio, l’Italia è tornata a essere il principale approdo di migranti in Europa, dopo che per tre anni lo erano state Grecia e Spagna. Secondo Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) il 77% delle persone arrivate è di sesso maschile, le donne sono il 6%, i minori il 17% – in buona parte non accompagnati.

Si parla sempre di migranti sbarcati, ma quanti sono quelli che fanno il viaggio di ritorno? È un tema cruciale su cui si sono soffermate molto le ultime campagne elettorali. L’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini infatti, aveva promesso più di 600mila rimpatri in 18 mesi, una promessa smentita dalla realtà. Ma quanti rimpatri fa lo Stato italiano, quanti fogli di via effettivamente si concludono davanti alle scalette di un aereo? I numeri sono abbastanza aleatori.

Ogni anno circa 500 migranti hanno accesso al Rimpatrio Volontario Assistito e Reintegrazione, una misura che offre ai cittadini dei Paesi terzi l’opportunità di fare ritorno in patria attraverso un progetto individuale comprensivo di counselling pre-partenza, assistenza logistica e finanziaria al viaggio, accompagnamento al reinserimento sociale ed economico nel paese di origine. Nel 2019, secondo quanto scrive il direttore centrale del Dipartimento della Pubblica sicurezza, il prefetto Massimo Bontempi, i rimpatri sono stati 6.298, comprensivi dei 500 ‘volontari’.

Ma quanti sono gli stranieri irregolari sul nostro territorio? Al 31 dicembre c’erano 135.858 persone in accoglienza. È probabile che gli irregolari superino i 300mila (il 6% rispetto alla popolazione irregolare). Se si considera che 50mila sono in attesa di un permesso di soggiorno, 250mila sono i ‘sommersi’. Di questi sono il 2,5% viene rimpatriato, ovvero su cento fogli di via meno di 3 abbandonano il Belpaese. Perché le cose non vanno? Bizze legislative, un numero insufficiente di centri di identificazione, scarsa collaborazione da parte dei consolati stranieri, giudici buonisti. Oltre a una casistica che arriva a distinguere i respingimenti dalle espulsioni, con i primi che non sono accompagnati da divieti di reingresso, né il nominativo del respinto è oggetto di segnalazione al SIS (Sistema informativo Schengen).

Nell’impossibilità di trattenere lo straniero e rimpatriarlo (spesso non ci sono aerei) al decreto di espulsione fa seguito un invito a lasciare l’Italia entro 5-7 giorni. Nessuno lo rispetta. È successo anche a Brahim che ha pensato nelle more di andare a sgozzare tre cristiani a Nizza.