Mercoledì 24 Aprile 2024

Rilassiamoci, questa non è l’apocalisse

Viviana

Ponchia

Poi è positiva Elena con il suo boy e così via, infettati in massa tranne uno. Quattordici affondati su quindici è una bella cifra, un cluster con i fiocchi. E la madre adulta dell’unico scampato si allarma: ma come stanno? Il figlio è mio e risponde senza indulgenza: "Mamma, sono positivi, non hanno mica il cancro". Non usa quella parola a caso: il massimo del terrore, per lui, e il suo contrario. Mi accorgo che la sua prospettiva è diversa dalla mia. Più sana. Ammette che i quattordici amici vanno a gonfiare le cifre spaventose del Covid ma considera la situazione per quella che è rifiutandosi di cedere all’isteria: sono tutti in gran forma, niente febbre, raffreddore, mal di gola, niente di niente. Si isolano. E dopo 48 ore tornano di nuovo negativi. "Qual è il tuo problema, mamma?". Ecco. Il problema mio e di tanti altri è che ci dimentichiamo di non essere più quelli di due anni fa. Che la pandemia è andata avanti e noi siamo rimasti indietro, inamidati nel terrore dell’apocalisse. Come questi ventenni saggi abbiamo fatto il possibile per contenere i danni e ci siamo riusciti, se è vero che l’80% delle terapie intensive sono occupate da non vaccinati contagiati dalla Delta. Solo che a differenza loro non riusciamo a riprenderci la vita, in attesa di una nuova variante o un definitivo sbarco alieno. Siamo polvere cosmica che rimbalza su una sfera blu, il rischio zero ci è negato. Ma un po’ di ottimismo non guasterebbe. Nel saggio "Everything is fucked" (dove dimostra il contrario) Mark Manson scrive che per costruire e mantenere la speranza abbiamo bisogno di tre cose: sentire di avere il controllo della nostra vita, credere in qualcosa per cui valga la pena lottare e fare parte di un gruppo che condivida gli stessi valori. I nostri ragazzi lo hanno capito, possiamo farcela anche noi.