Rigopiano, il volontario: "Così ho tirato fuori Giampaolo dall'inferno"

"Ore di scavi poi l'urlo: sono qua"

Rubino De Paolis con la collega e compagna Valeria

Rubino De Paolis con la collega e compagna Valeria

L’Aquila, 21 gennaio 2019 - "Era di fronte a me, incastrato in un modo assurdo: testa, piede sinistro e mano sinistra nello stesso punto. Mi ha stretto le ginocchia, l’ho preso sotto le ascelle e l’ho tirato via". Rubino ‘Roby’ De Paolis, abruzzese, imprenditore, 52 anni, da 10 è volontario del Soccorso alpino e speleologico. Per tutti è l’angelo custode di Giampaolo Matrone, lo scampato di Rigopiano che ha resistito più di 60 ore tra le macerie del resort. Nella squadra di soccorritori c’era anche l’amico Davide De Carolis. Ha perso la vita a 39 anni quattro giorni dopo quella missione, il 24 gennaio 2017, nello schianto di un elicottero del 118 (sei morti, nessuno scampato).

Rubino, il Soccorso alpino è arrivato a Rigopiano la notte stessa della tragedia, con gli sci ai piedi. Poi la sua squadra è stata dirottata lassù venerdì 20, due giorni dopo la valanga. "Valeria, la mia compagna, collega nel Soccorso e medico, quando siamo partiti da casa mi ripeteva: troveremo qualcuno. Io mi dicevo, ma sono passate così tante ore...". La scena che vi siete trovati di fronte. "Erano state individuate tre persone vive, in quel punto erano in tanti a scavare. Dall’altra parte c’era la scientifica, un poliziotto si è girato verso di noi e ha detto, qui potrebbe esserci il segnale di un cellulare". Matrone è stato individuato così. "Quando siamo arrivati al tetto ci è preso male: eravamo 4 metri sotto la neve. Uno si chiede, quanto altro devo andare giù? Abbiamo cominciato a tirare via tegole e guaina". Con quali strumenti? "Le mani! Poi quando siamo arrivati al legno, la squadra dei vigili del fuoco aveva una motosega, abbiamo fatto un primo buco. Abbiamo urlato, quando s’è fatto silenzio una voce ha detto: oh, sto qua!". Era Matrone. "Ci si è gelato il sangue, ci dicevamo, com’è possibile? Mi sono fatto portare una sonda da valanga. Dovevamo capire dove scavare. Alla fine, illuminando, lui ha detto, vedo la luce. Da lì è stata una lotta contro il tempo". Salvo. "Lo abbiamo tirato fuori alle sei di mattina, erano passate più di 60 ore. In certi momenti era impaziente. È sempre così. Sei più tranquillo mentre aspetti il soccorritore. Perdi la calma quando arriva, ti senti salvo e non vedi l’ora che finisca". Poteva crollare tutto. "Sì, può darsi. Ma non ci pensi. Sei lì per passione". Il suo stipendio? "Sono un volontario, non ho stipendio! Rimborso spese? No, no. Io a Rigopiano ci sono andato con la mia macchina e con i miei amici. Sono tornato con la mia macchina e con i miei amici". Pochi giorni dopo ha perso Davide. "Quante missioni, insieme. Eravamo molto legati". È stato in trincea anche nel terremoto del centro Italia. "Siamo arrivati tra i primi ad Accumoli, con me c'era un collega, Alessandro. Un uomo mi ha detto, in questa casa c’era mio cognato, sarà morto. L’abbiamo cercato e trovato sotto metri di macerie, quasi incolume, era rimasto chiuso a panino tra due materassi". In fondo, cosa resta? "Credo di avere un contenitore di cose brutte. Sto aspettando che si riempia. Per tutti arriva il momento. Dopo, smetti. T’illudi di poterlo svuotare, di tanto in tanto, quel contenitore. Ma certe immagini non se ne vanno, certe delusioni nemmeno. Per me tirare fuori Davide dall’elicottero... Già da sola questa cosa riempie la scatola".