Giovedì 18 Aprile 2024

Il ghiacciaio si scioglie e il rifugio del Cervino 'passa' dall'Italia in Svizzera

La proprietà voleva fare una ristrutturazione ma tre quarti della struttura ora si trovano in territorio elvetico. Colpa del principio del 'confine mobile'

Il Rifugio delle Guide del Cervino (foto Wikimedia Commons)

Il Rifugio delle Guide del Cervino (foto Wikimedia Commons)

Roma, 25 aprile 2018 - Nel 2014 alla Biennale di Architettura di Venezia fu presentata un’installazione che si chiamava 'Italian limes', ideata da Marco Ferrari ed Elisa Pasqua dello studio Folder di Milano. Illustrava un concetto nuovo: il 'confine mobile', ossia la versione moderna, aggiornata all’epoca del cambiamento climatico, delle antiche linee di demarcazione fra Stati. Linee che non sono più statiche bensì liquide, per dirla con Zygmunt Bauman ma anche – letteralmente – con il fenomeno che sta cambiando i confini alpini: lo scioglimento dei ghiacciai. La notizia del giorno è il grido d’allarme che arriva dalla Val d’Aosta: i nuovi criteri di demarcazione, secondo appunto il principio del 'confine mobile' introdotto per legge nel 2009, hanno cambiato lo status del Rifugio delle Guide del Cervino, una struttura collocata a quota 3.480 metri sul Plateau Rosa. 

La società delle Guide, titolare del rifugio, ha avviato l’iter per un intervento di ristrutturazione e controllando le mappe si è scoperto che tre quarti della proprietà non sono più in Italia ma in Svizzera e quindi le dovute autorizzazioni vanno chieste sia al Comune valdostano di Valtournenche che al municipio elvetico di Zermatt. Il caso è spinoso per le questioni urbanistiche e diplomatiche che solleva, ma è anche una spia di un fenomeno più generale, ossia della geografia politica che cambia non più (o non solo) per effetto di conquiste e trattati, com’è stato finora nella storia, ma anche in funzione dei cambiamenti naturali.

La legge sui confini mobili stabilisce che le carte vanno aggiornate in funzione dello spostamento della linea spartiacque alpina, seguendo le “linee di cresta”: i ghiacciai negli ultimi decenni hanno perso spessore e cambiato forma, perciò le vecchie mappe fotografano una situazione che non c’è più. Nella regione svizzera di Zermatt, ad esempio, fra 1940 e 2000 il ghiacciaio si è abbassato e la linea spartiacque è ora sulla roccia, con un arretramento compreso fra i 100 e i 150 metri, in alcuni tratti a vantaggio dell’Italia, in altri della Svizzera. 

È quasi un rompicapo, che rischia di aggiungere nuove dispute sui confini alpini in aggiunta a quella storica per la cima del Monte Bianco, interamente francese secondo Parigi, divisa a metà fra i due Stati secondo Roma. In questo caso la divergenza è diplomatica e legata a trattati ottocenteschi, ma da cartacea la contesa potrebbe diventare presto anche liquida, se pensiamo che l’installazione 'Italian limes' mostrava e aggiornava giorno per giorno, grazie a speciali sensori e alla mappatura satellitare, il confine italo-austriaco sul Similaun, il monte dove fu trovato nel 1991 (in territorio italiano, si stabilì allora) il celebre Hotzi, l’uomo mummificato nel ghiaccio, vissuto cinquemila anni fa. Dobbiamo insomma aggiornare mappe e atlanti. Come fece incautamente nel 2006 l’Istituto geografico argentino quando ridefinì il confine con il Cile nella Patagonia meridionale alla luce della nuova morfologia dei ghiacciai, senza però avvertire le autorità di Santiago, che reagirono con grande energia e per vie ufficiali: si rischiò l’incidente diplomatico, finché non fu trovato un pacifico accordo fra le parti. 

I geografi sono preoccupati per quanto potrebbe accadere in certe zone dell’Asia, specie nell’area dell’Himalaya, in alcune regioni cinesi e in Bangladesh, dove lo scioglimento dei ghiacciai potrebbe alimentare non solo contese di confine ma anche migrazioni e una sorta di terremoto sociale. Un terremoto fisico, quello rovinoso del 2015, ha del resto già cambiato la linea del paesaggio: lo stato del Nepal ha da poco avviato una campagna di rilevazioni per misurare la nuova altezza dell’Everest, che si presume sia cambiata per effetto del sommovimento tellurico. 

Peter Wadhams, il più grande studioso dei ghiacci, ha spiegato una volta che le stesse prime fotografie della Terra scattate nel 1968 dall’Apollo 8 sono ormai oggetti di antiquariato: oggi il nostro pianeta visto dalla spazio non apparirebbe più – almeno nell’estate boreale – come una magnifica sfera blu con entrambe le estremità colorate di bianco, perché "il tetto del mondo, l’area del Polo Nord, è diventato azzurro", con l’oceano al posto dei ghiacci.  In futuro dovremo probabilmente aggiornare non solo l’idea di confine, se pensiamo al messaggio che lanciarono nel 2009 i membri del governo delle Maldive tenendo la prima riunione ministeriale sottomarina nella storia dell’umanità, con bombole d’ossigeno, boccagli e speciali lavagnette per comunicare: ci sono aree del pianeta, isole e non solo, che rischiano di inabissarsi e sparire. Il terzo millennio ci sta consegnando l’immagine impensabile di un mappamondo allo stato liquido.