di Riccardo Brizzi Chapeau, Macron. L’esito delle presidenziali riconferma il presidente uscente all’Eliseo con un risultato storico: per la prima volta dal 1965 un capo dello Stato viene rieletto in Francia al di fuori di un contesto di coabitazione con una maggioranza parlamentare di colore opposto. E lo fa distanziando la rivale in maniera significativa (58,5% contro 41,5%) al termine di un mandato caratterizzato da gravi crisi– gilet gialli, Covid, Ucraina – smentendo pronostici e sondaggi che, ancora all’indomani del primo turno, indicavano un testa a testa tra i due candidati. Eppure la rielezione avviene senza fanfare e si fonda su basi più fragili rispetto all’ingresso all’Eliseo nel 2017. Macron ha conquistato appena il 38,5% degli elettori iscritti, ossia la percentuale più bassa nella storia della V Repubblica dall’elezione di Pompidou nel 1969, in un contesto di crescente disaffezione democratica: il 28% di astensione al secondo turno è il tasso più alto alle presidenziali da oltre 50 anni. Il voto di domenica testimonia anche il logoramento del fronte repubblicano, che sino a oggi aveva impedito all’estrema destra di ambire seriamente all’Eliseo. Il 41,5% conquistato dalla Le Pen al secondo turno è la percentuale più alta mai raggiunta dall’estrema destra in occasione del ballottaggio (nel 2002 Jean-Marie Le Pen si era fermato al 17,8%; nel 2017 Marine Le Pen al 33,9%), sottolineando la progressiva normalizzazione conosciuta dal Rassemblement national. Macron si avvia a inaugurare il secondo mandato all’Eliseo sulle macerie di un sistema dei partiti di cui lui stesso ha accelerato la decomposizione e confrontato a una frattura politica e sociale sempre più profonda, a stento contenuta dalla verticalità del sistema istituzionale quintorepubblicano. Lungi dal potersi godere la luna di miele con l’opinione pubblica, tradizionalmente concessa a un presidente all’indomani del voto, Macron è consapevole di come i prossimi mesi saranno caratterizzati da una ...
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