Martedì 23 Aprile 2024

Rete obsoleta Subito nuove autostrade

Antonio

Troise

C’è stato un tempo, incredibile a dirsi, che eravamo i "cinesi d’Europa", costruivamo grandi reti infrastrutturali con tempi da record. Un esempio per tutti, l’autostrada del Sole, l’opera simbolo del Dopoguerra e del miracolo italiano, quella che ha effettivamente "ristretto" lo Stivale, avvicinando il Nord al Sud. Poi, però, qualcosa si è inceppato se, negli ultimi trent’anni, siamo diventati la "Cenerentola" del Vecchio continente: in trent’anni siamo riusciti a realizzare poco più di 700 chilometri di nuove autostrade su una rete che attualmente ne conta quasi 7mila. E, per di più, i cantieri sono andati avanti con il contagocce, spesso pochi metri all’anno, per non contare il lungo elenco delle incompiute. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. E mettono a dura prova il sistema nervoso dei tanti automobilisti costretti a slalom micidiali per raggiungere, in questi giorni, le agognate mete estive. Abbiamo una rete ormai obsoleta, studiata per volumi di traffico decisamente inferiori rispetto a quelli attuali e per auto con caratteristiche, anche tecnologiche, molto diverse. Certo, non sono mancati i capitani coraggiosi che hanno presentato fior di progetti per incrementare la rete e metterla al passo con i tempi. Ma, tutte le volte, hanno dovuto fare i conti con comitati e comitatini, ambientalisti e forze politiche (che ci hanno costruito sopra campagne elettorali). Arrivando a stuzzicare la famosa sindrome Nimby, acronimo inglese per "Not In My Back Yard", tradotto soldoni: le autostrade fatele dovunque ma non a casa mia. Ora, però, siamo arrivati al punto di non ritorno. A forza di metterci una "pezza" rinviando le nuove opere, abbiamo una rete ormai al limite. Per questo non andrebbe sprecata l’occasione del Pnrr, con la sua dote miliardaria destinata alle infrastrutture. Ma, per centrare l’obiettivo, occorrerebbe davvero accelerare su cantieri e autorizzazioni. Mettendo per una volta in un angolo l’interesse di una parte e privilegiando quello della collettività. Sarebbe un bel modo per replicare l’ormai lontano "miracolo italiano".