Giovedì 18 Aprile 2024

Reggiseni sui Maneskin, quel vecchio rito rock

Negli anni ’60 toccò a Elvis e ai Beatles, l’altra sera la stessa accoglienza al gruppo romano nella prima data italiana all’Arena di Verona

Migration

di Chiara

Di Clemente

Rock, rose e reggiseni. Piovono rose e reggiseni su Damiano dei Maneskin nella notte dell’Arena di Verona che ha segnato il ritorno dal vivo nel nostro Paese dei quattro ragazzi romani che – belli sexy inclusivi e fluidi – hanno compiuto l’impresa italiana finora impossibile della conquista del mercato rock Usa, supporter dei Rolling Stones e protagonisti al Coachella. Piovono reggiseni su di lui, lanciati dalle giovanissime fan, le più scatenate tra i 12mila dell’Arena sold out, ma anche sullo scultoreo batterista Ethan, sul chitarrista Thomas e già che ci siamo perché no pure su Victoria, la bassista 22enne che si è imposta spavalda sia come il reale motore del gruppo – in combinazione discreta ma determinata e perfetta con l’acclamato carisma di Damiano –, sia come la paladina del movimento del libero petto su libera scena (e libero social).

Piovono i reggiseni delle fan sui Maneskin come su Blanco, da quando è in concerto in queste settimane, tant’è che lui – il 19enne vincitore del Sanremo dei “Brividi“ in coppia con Mahmood – il reggiseno di una fan lo ha indossato per bene sul torso nudo, sul palco, e alla fine di quello show ha ringraziato su Instagram: "Vorrei morire così. Blu Celeste ha preso vita". Non c’è traccia nella antiche cronache rock di lingerie femminile ad uso décolleté che sia stata indossata in scena da Elvis, il primo e più clamoroso oggetto del desiderio delle spettatrici vittima (o forse eroe) della moda del bra toss, ovvero del buttare il reggiseno addosso al cantante in segno di stima: una foto che gira online lo ritrae nella tipica mise tutta lustrini e cinturoni mentre utilizza un vezzoso reggiseno bianco lanciatogli addosso da una fortunata ammiratrice per coprirsi gli occhi, e scrutare la platea attraverso i pizzi. Stiamo parlando di una foto che risale evidentemente agli anni Settanta, qualcosa come mezzo secolo fa, con tutto che la pratica del lancio del reggiseno al concerto è ancora più vecchia, con le prime testimonianze di pubblico mezzo (o anche non mezzo) nudo tra gli hippy della Summer of love, 1967, di San Francisco, e del Festival di Monterey, fino ai felici déshabillé Woodstock, ’69.

È qui che le fanciulle (e i fanciulli) iniziano a spogliarsi in pubblico delle loro vesti come convenzioni simboliche al suono di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jefferson Airplaine: solo un anno prima, il 17 settembre del ’68, il Movimento di Liberazione della Donna aveva fatto irruzione sulla scena statunitense con la clamorosa protesta contro il concorso di Miss America in cui 400 femministe scese in piazza ad Atlantic City avevano creato il famoso “cassonetto della libertà“ in cui gettare gli oggetti associati agli stereotipi della femminilità, gli “strumenti di tortura“ delle donne – reggiseni per primi – con l’intenzione di dargli fuoco.

Strumento di tortura imposto dai maschi, da cui liberarsi con una fiammata di protesta, nel ’68; strumento di seduzione volontariamente recuperato, ma da cui liberarsi di nuovo, in un tripudio di vitalità rock, oggi. Da Elvis agli Stones, giù giù fino a Justin Bieber (che per la lingerie sul palco si arrabbia) a Rihanna (che raccoglie l’oggetto e commenta: "non è della mia taglia"), fino al flash mob da record del topless al Modena Park di Vasco Rossi, 2017, sulle note di “Rewind“, il gesto del reggiseno gettato alla popstar sul palco non passa di moda, ma assume – decennio dopo decennio – sempre nuovi significati. All’alba del rock è un tassello di quel gigante processo di costruzione dell’invenzione del “giovane“, col rock che incarna un’identità adolescenziale spontaneamente ribelle, in netta contrapposizione con la generazione precedente.

Oggi è probabilmente altro ancora: un piccolo urlo di libertà – fors’anche condiviso con le mamme cougar – in clima di ritrovata serenità adolescenziale post-Covid. Ma anche – ci sta – un segnale di consapevolezza: il cuore che batte nei reggiseni lanciati ai Maneskin e a Blanco è quello della generazione Z. Il suo corpo è quello descritto da Jennifer Guerra: "Il corpo pieno, desiderante e straripante, il ’corpo elettrico’ come diceva Walt Whitman. Il corpo delle donne. Da sempre esposto, regolamentato, ingabbiato, schernito, giudicato, toccato. Un corpo che oggi non offro più in sacrificio per nessuno. Il nostro corpo, tanti corpi che ne fanno uno solo".