Mercoledì 24 Aprile 2024

Regge l’accordo tra le correnti dem Serracchiani eletta capogruppo

Patto tra Base riformista e Franceschini. Una poltrona anche a De Luca jr per ingraziarsi il padre in Campania

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di Ettore Maria Colombo

"Serracchiani. Serracchiani. Bianca. Madia. Serracchiani…". Sembrava l’elezione del nuovo Capo dello Stato e invece trattavasi solo di quella del nuovo capogruppo dem alla Camera. Eppure, il thrilling – o, meglio, il tormentone – nel più classico stile di casa dem, è andato avanti per giorni (anzi, a dirla tutte, settimane). E a colpi di lettere di fuoco che, via mail, le due candidate hanno inviato ai loro colleghi (maschi e femmine) del gruppo dem per rivendicare la loro storia e il loro orgoglio di democrat, certo, ma pure di donne che si ritenevano non unfit al ruolo. Alla fine, rispettando i favori del pronostico, l’ha spuntata la ex presidente del Friuli-Venezia Giulia, nonché vicepresidente del Pd, Debora Serracchiani. Ben 66 le preferenze a suo favore, date con voto rigorosamente segreto, sul suo nome, contro le 24 schede per la Madia, una per la ex comunista (nel senso che viene dal Pci-Pds-Ds) Barbara Pollastrini, che però non si era candidata, una scheda bianca e una scheda nulla. Plenum rispettato (in totale, ben 93 votanti sui 93 deputati) e quorum (46 voti) superato di slancio.

Insomma, un successone, per la – ormai ex – presidente della commissione Lavoro, la cui guida resterà in mano dem grazie al patto di ferro siglato con i 5Stelle. Qui la favorita è la marchigiana, ex sottosegretaria, Alessia Morani. La quale è di Base riformista, la corrente di Lotti e Guerini, che otterrà anche, sempre in sua quota, il vicepresidente vicario, Piero De Luca, figlio d’arte: il padre è Vincenzo, governatore campano, che bisogna ‘lisciare’ per fare l’accordo coi 5S a Napoli dove, come a Torino, i dem sono contrari. Insomma, per l’area degli ex renziani (30 i loro ‘affiliati’ alla Camera, la maggioranza relativa) è stato un successone. Ma la Serracchiani è stata votata anche da Area Dem, previo accordo con Franceschini, e milita nell’area Delrio, il capogruppo uscente, che ha ‘lavorato’ per lei. Contando anche la capogruppo al Senato, Simona Malpezzi – eletta all’unanimità su indicazione dell’altro uscente, Marcucci – la bisaccia di Base riformista è piena. Sconfitti escono, invece, la sinistra interna (area Zingaretti-Orlando-Cuperlo) e i Giovani turchi di Orfini. Letta, in teoria, non tifava per nessuno, ma non era un segreto che avrebbe preferito la Madia. In ogni caso, al Nazareno la mettono sul piano dei curricula, entrambi "specchiati", delle candidate e, dunque, "tanti auguri di buon lavoro a Debora" e bando a un partito "incrostato di maschilismo". Gli stessi auguri che, ovvio, le fa pure la Madia, anche se – nell’ennesima sua lettera, una sorta di sindrome grafologica, di ieri – Madia ribadisce le sue "perplessità" su come si è arrivati alla conta finale: parla di "logica spartitoria", di "correnti che sono diventati puro strumento di potere", etc. Sotto-testo: Delrio ha ‘brigato’ per la sua Debora (vero).

Serracchiani incassa soddisfatta il trionfo, riconosce come "novità positiva la competizione" e assicura che "il gruppo è compatto". Sarà, ma il voto, come la favola di Esopo (o mytos deloi), dimostra che il gruppo tanto compatto non è. Letta, però, ottiene in due settimane quello che Zingaretti non era riuscito ad ottenere in due anni: cambiare le teste dei capigruppo (maschi) dem che, eletti nel 2018, in piena era Renzi segretario, rispondevano più a loro stessi che al Nazareno.

Letta, intanto, ieri ha riunito la segreteria e poi ha visto Giorgia Meloni nel suo giro di incontri con i leader di partiti avversari e alleati (tarda, però, quello con Renzi), assicurandole appoggio per dare a Fratelli d’Italia il Copasir che, così vuole la regola, spetta all’opposizione.