Regeni, l’ira dei genitori "L’Egitto ci prende in giro Il governo faccia qualcosa"

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di Giovanni Rossi

Nessuna risposta dall’Egitto per il processo agli assassini (e torturatori) di Giulio Regeni, il 28enne dottorando della Cambridge University trovato morto il 3 febbraio 2016 vicino a una prigione dei servizi segreti egiziani. Udienza aggiornata al 13 febbraio 2023, ma il giudizio è in un vicolo cieco. Davanti al gup di Roma va in onda l’ennesima replica – ormai stucchevole – del muro di gomma gonfiato dal governo del Cairo a difesa dei propri imputati, quattro uomini della National Security Agency che il regime di Abdel Fattah al-Sisi non vuole consegnare né può riprocessare. Per il principio che il diritto romano ha reso universale del ne bis in idem, i quattro indiziati – il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif – sono infatti al sicuro dall’accusa di omicidio grazie alla scontata archiviazione incassata lo scorso dicembre in Egitto dopo interrogatori ai quali i pm italiani non hanno potuto assistere.

La famiglia Regeni tiene coraggiosamente il punto e continua a sperare in una "adeguata reazione di dignità del nostro governo", dopo che "è emerso, ancora una volta e con ulteriore chiarezza, che le autorità egiziane non hanno, né hanno mai avuto, alcuna intenzione di collaborare e si fanno beffe del nostro sistema di diritto", spiegano Paola Deffendi e Claudio Regeni, i genitori del ricercatore. Giulio Regeni, sparito dalla circolazione il 25 gennaio 2016, fu sequestrato e torturato. "L’ho riconosciuto dal naso", disse la madre alla riconsegna del corpo. Alla base dell’interrogatorio diventato un indicibile massacro (le 300 pagine del referto autoptico illustrano sevizie, fratture multiple, tagli e bruciature, prima dei colpi mortali al collo e alla testa) c’era il sospetto del tutto infondato che il ricercatore friulano fosse un agente britannico e che la sua indagine sui sindacati indipendenti egiziani per conto dell’Università Americana del Cairo nascondesse altro.

"Ad oggi non abbiamo ricevuto alcuna risposta dall’autorità egiziana in merito ai quattro imputati – certifica in aula Nicola Russo, capo dipartimento ministeriale per gli Affari di Giustizia –. L’ultima sollecitazione risale al 6 ottobre". Nessun segno di apertura. Anzi, gli egiziani "non hanno neanche risposto" alla richiesta di incontro avanzata dalla Guardasigilli Marta Cartabia in gennaio. "Un rifiuto che non ha precedenti", denuncia la famiglia. Incalzato dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco, Russo indica una possibilità residuale di richiamo dell’Egitto alle proprie responsabilità: utilizzare come leva il trattato internazionale sulla tortura del 1984 al quale anche il Cairo aderisce. In questo caso ci sarebbe un arbitrato internazionale all’Onu. "Una scelta di ordine politico", è la premessa. La valutazione spetterà al successore di Marta Cartabia d’intesa con il nuovo governo. "Non smetteremo mai di chiedere verità e giustizia per Giulio Regeni. Mai. E allo stesso tempo continueremo a lavorare perché i responsabili di quel crimine atroce paghino le loro colpe", scrive il presidente della Camera Roberto Fico, dopo aver abbracciato i genitori di Giulio.

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