Pastosa, squillante, vellutata, acrilica. Flebile, nasale, tonda, strozzata. La sua unicità sta nella moltitudine. È una eppure tante, anche dentro la stessa persona. La voce contiene l’empatia e il distacco, la fiducia e la delusione. Anche il sesso. Una voce da uomo che abita un corpo di donna racconta la frustrazione di un percorso sospeso, il limite della volontà e della chirurgia estetica. Su questo interviene Andrea Cavalot, 61 anni, primario di otorinolaringoiatria all’ospedale Santa Croce di Moncalieri. Con la tiroplastica di quarto tipo modifica le corde vocali e regala una voce femminile a chi è nato maschio (per il viaggio contrario spesso bastano gli ormoni). È tra i pochi a farlo in Italia, nel resto d’Europa prendono appunti da lui. Si paragona a un accordatore di chitarra. Troppo modesto: nel suo studio, fra pianti e incredulità, inizia una nuova vita. Cambiare voce è l’ultimo passo di un grande cambiamento. Che responsabilità. "Io vengo dopo endocrinologi, psichiatri, urologi e ginecologi. Sono quello che mette i fiori sul balcone. Per molte ottenere una voce femminile è più importante del cambio di sesso e del nome modificato sui documenti. L’obiettivo dei pazienti transgender non è tanto parlare, ma piuttosto indossare la loro voce. Un timbro maschile su un corpo di donna accende il pregiudizio. Ricordo una signora che si era sposata e aveva adottato una bambina nera. Prima dell’operazione mi disse che forse un giorno sua figlia avrebbe avuto problemi per il colore della pelle. Ma non doveva averne per la voce della mamma". E se dopo l’intervento non si piacciono? "Si discute. La tendenza è sempre quella di esagerare, come per il seno. C’è chi parte da una terza e vuole la sesta. Se arriva da me una signora alta 1,80 cm che pesa 90 chili kg e sogna una voce ...
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