Recovery, parte la corsa a ostacoli I falchi Ue: fate riforme o addio soldi

Consegnato il Piano a Bruxelles, ma è solo l’inizio. Fisco, giustizia, concorrenza: l’Europa controllerà i progressi

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di Antonella Coppari

Ci siamo. Oggi il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) arriva sul tavolo della Commissione europea: l’Italia sarà così tra i primi a presentare la versione definitiva rispettando rigorosamente i tempi, anche se una piccola proroga sarebbe stata possibile. Il premier ha preferito la massima puntualità sia per rassicurare una Ue la cui diffidenza nei nostri confronti – nonostante Draghi – è ancora palpabile, sia perché solo cosi arriverà entro luglio l’anticipo pari al 13% della quota nazionale (191,5), ovvero più di 24 miliardi.

Il via libera del Cdm ieri era quasi una formalità dopo la presentazione del piano alle Camere: qualche tensione c’è stata sul fondo complementare di 30,6 miliardi che finanzierà progetti che, per tempi o natura, non potevano rientrare nel Pnrr. Così, una pausa di 4 ore, per illustrare il testo alle Regioni che volevano vederci chiaro fa slittare di qualche ora l’approvazione. Nel fondo extra – finanziato dall’Italia – rientrano 31 investimenti che vanno dal 5G fino ai soldi per l’alta velocità Salerno-Reggio Calabria. E c’è la puntualizzazione che per la proroga del Superbonus a tutto il 2023 si utilizzeranno le risorse risparmiate nei mesi precedenti.

Si profila una corsa a tappe forzate e con l’handicap, che Draghi intende trasformare in pungolo, dei controlli europei. Saranno frequenti e rigorosi: Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione e falco per definizione, non lascia dubbi: "Abbiamo creato un sistema che garantirà un uso appropriato dei fondi". Il criterio di base, in realtà, è molto semplice: "Se le riforme finiscono in stallo, se alcuni progetti non vanno avanti, i soldi non arrivano". In casi particolarmente gravi, non esclude la mossa estrema del ricorso alla Procura europea.

Sia ben chiaro: l’invio odierno del Pnrr a Bruxelles non sarà ancora il vero e proprio varo del Next generation Eu. Prima deve arrivare l’approvazione di tutti i singoli piani da parte di Ecofin: il primo gruppo sarà esaminato da il 18 giugno, ma il presidente del Consiglio europeo, il portoghese António Costa, ha già annunciato una riunione straordinaria nell’ultima settimana dello stesso mese per dare il via al secondo pacchetto di piani nazionali. A quel punto, inizierà la sfida del Recovery. E il percorso per Draghi non si profila in discesa. Ancor prima della partita sugli investimenti dovrà giocare quella sulle riforme, necessarie per realizzare il piano. Il crono-programma è impressionante: si tratta di portare a termine in pochi mesi interventi che il Paese aspetta da decenni.

Il primo appuntamento è con il decreto semplificazione (dove potrebbero confluire anche le norme sulla transizione ecologica messe a punto dal ministro Roberto Cingolani) che il governo si è impegnato ad adottare la prima settimana di maggio, assieme al dl sulla governance e a quello che introdurrà procedure straordinarie per il reclutamento nella Pubblica amministrazione. Assai complicata si prospetta la riforma fiscale, a causa delle filosofie opposte nella maggioranza, da concludersi entro il 31 luglio. Nello stesso periodo dovrebbero essere pronte le leggi delega sulla concorrenza. Ma prima, a giugno, sarà il turno della legge sulla corruzione, altro capitolo spinoso: sfoltire le norme anticorruzione è indispensabile per evitare che i progetti si arenino ma bisognerà fare i conti con i grillini, che ne hanno fatto un cavallo di battaglia. Da far tremare i polsi l’intervento sulla giustizia, viste le distanze tra i partiti: eppure, la riforma del processo penale, di quello civile e della giustizia tributaria dovranno essere definite con legge delega entro l’anno. Il premier cercherà di chiudere una bozza di accordo per luglio, altrimenti si aprirà il semestre bianco il 3 agosto e tutto diventerà più difficile. Insomma: in ballo c’è una partita difficilissima, una sfida che il Paese non può permettersi di perdere. L’unità invocata da Draghi non è un optional ma un obbligo. Sgradito, ma sempre obbligo.