Ratzinger, il teologo che disse no a Hitler. E la Germania esultò: "Siamo Papa!"

Il rapporto fra Ratzinger e la sua patria, dalle voci sul nazismo (in realtà disertò nel 1945) ai bagni di folla La “Bild“ salutò la sua elezione come la vittoria di un popolo. E il Paese ne approfittò per autoassolversi

"Noi siamo Papa!" , " Wir sind Papst! ", è il geniale titolo della Bild , apparso il 20 aprile 2005. La nomina di Ratzinger venne accolta dai tedeschi, liberati dal peso del passato nazista, come un’assoluzione collettiva, anche dai giovani, nati decenni dopo la fine del III Reich, da chi non era cattolico, dai luterani, dagli atei, quasi il 60% nelle regioni della scomparsa Germania comunista. Nella redazione della popolare Bild , la sera prima, non si sapeva che titolo fare. Dopo varie proposte, fu Georg Steiner, capo della politica, a trovare le parole giuste, con il punto esclamativo. Era protestante e non credente. La Taz , giornale di sinistra, uscì con la pagina nera, a lutto, e il titolo in bianco "Oh mein Gott ", Dio mio. Ma non colse il significato dell’avvenimento. Come l’inglese Sun : "Dalla gioventù nazista a Papa". Esatto, eppure sbagliato. Il manifesto fu irriverente: "Il pastore tedesco", come il cane lupo amato dal Führer. Reazione scontata fuori dalla Germania, ma ai tedeschi non importò.

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Uta Ranke-Heinemann, la prima donna a ottenere la cattedra di teologia, mi aveva promesso un’intervista su quale papa si augurasse come successore di Wojtyla, ma Ratzinger fu eletto velocemente. Le telefonai: "Penso che non le piaccia la scelta del conclave". "Che dice mai?", rise, "siamo amici, abbiamo studiato insieme all’università". Uta aveva perso la cattedra per i suoi saggi considerati sacrileghi (metteva in dubbio la verginità della Madonna), ma non era uscita dalla Chiesa, a cui continuava a pagare le tasse, anche se la chiamavano la diavolessa. Non lo disse apertamente, ma capii che preferiva Ratzinger a Wojtyla, un pontefice che non amava la ribalta, lealmente fedele al suo credo. La diavolessa e il Santo Padre, amici anche se in disaccordo, un rapporto importante per capire come viene vissuta la fede in Germania, patria di Lutero. Il giovane Ratzinger ottenne nel 1963, a 36 anni, la cattedra di teologia a Münster, città universitaria in Westfalia, per metà cattolica e metà protestante. Divenne l’idolo degli studenti, che gli regalarono una bicicletta di seconda mano. Cambiò nel ’68, spaventato che la rivolta giovanile si spingesse troppo oltre.

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Nell’estate 2005 venne a Colonia, per il raduno mondiale della gioventù, evento preparato per Wojtyla. Un milione di fedeli lo accolse mentre scendeva il Reno in battello, coi piedi nella corrente sulle due sponde. La folla intimoriva Benedetto, rimasto un riservato professore. "Bravi – disse ai giovani che l’applaudivano – ma dovete rimanere buoni cristiani anche domani, aiutare i poveri e i malati. Io sono contro il consumismo, anche quello della fede". Non erano le parole che attendevano i ragazzi. Non fu diplomatico l’anno dopo, il 12 settembre, a Ratisbona, nel parlare dell’Islam. Era un professore, parlò senza stare in guardia, i giornalisti citarono solo una frase. Sembrò una condanna al limite del razzismo per i musulmani. Ma il commento riguardava il rapporto tra Chiesa e società. Non si può realizzare la democrazia, ammonì, se si pone la fede sopra lo Stato. Le primavere arabe furono un’illusione.

Inevitabili e tendenziose le rivelazioni sul passato sotto il nazismo. Entrò nella Hitler-Jugend, la gioventù hitleriana, ma aveva 14 anni ed era obbligatorio. Se il padre si fosse opposto sarebbe finito a Dachau. Quando fu rivelato che Günter Grass aveva indossato la divisa delle Waffen SS, lo scrittore in un’ambigua intervista lasciò capire che sotto le armi si trovò a fianco del coetaneo Joseph. Non era possibile. Ratzinger fu arruolato a 17 anni nella contraerea, non sparò mai, non andò al fronte, come Grass (ma le Waffen SS erano un corpo d’élite). Joseph disertò nell’aprile 1945, rischiando di essere fucilato. Ma non fu il professor Ratzinger a rivelarlo.