di Gabriele Moroni Per quaranta giorni la sua tomba è una buca. Il sudario, a coprirla, una bambola rotta. Lo scheletro di una carrozzina la croce, in quell’orrida discarica a Galliate, nel Novarese. La sera fissata per restituirla alla libertà, Cristina Mazzotti non prende sonno. Le fanno inghiottire alcune compresse di Valium, l’ordine è di consegnarla addormentata. Racconterà uno dei carcerieri: "Non saprei dire cosa sia successo, forse si trattò di una dose eccessiva per quel fisico già tanto debilitato. Fatto sta che ebbe un collasso. E accadde l’irreparabile". A quasi mezzo secolo il gusto tragico di un orrore mai cancellato: la procura di Milano ha avviato una nuova inchiesta (la terza) per il sequestro e la morte di Cristina Mazzotti, prima donna a essere rapita al Nord Italia. Sono indagati per omicidio volontario Demetrio Latella, Giuseppe Calabrò, Antonio Tàlia, Antonio Romeo. L’"irreparabile" per Cristina Mazzotti inizia la notte fra il 30 giugno e il primo luglio 1975. Ha diciotto anni. Sta rientrando nella villa di famiglia a Eupilio, nel Comasco, dopo la festa per la promozione in terza liceo. Una Giulia 1750 e una Fiat 1550 si affiancano alla Mini dove Cristina viaggia con gli amici Emanuela e Carlo, la bloccano. Scendono in due, armati e mascherati con passamontagna. "Chi è Cristina Mazzotti?". "Sono io", risponde lei timidamente. Legano i due amici e fuggono con Cristina. In quella Italia la violenza politica è divisa fra Brigate rosse e Nar. Si è avviata la lunga stagione dei sequestri di persona. Nel 1970, dopo le rivolte nelle carceri di Linosa e Lampedusa, la magistratura ha deciso di trasferire il domicilio coatto dei malviventi dalle isole al settentrione delle penisola. È stata una diaspora di mafiosi e banditi al nord. Le famiglie e anche i parenti meno stretti li hanno raggiunti. I clan ...
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